Coronavirus

Le polmoniti sospette nel 2019: si indaga sulle circolari del ministero

Sotto la lente anche le circolari ministeriali, che avtrebbero dovuto indicare su quali casi effettuare tamponi e visite specialistiche

Le polmoniti sospette nel 2019: si indaga sulle circolari del ministero

Un incremento preoccupante di casi di polmonite di origine non chiara risalente a dicembre del 2019, e che ha avuto sfogo in particolar modo da gennaio dell'anno in corso.

A spiegarlo è un medico di Albino (Bergamo), la dott.ssa Graziella Seghezzi, che ha raccontato su "L'Eco" di essere tornata con il pensiero spesso a quei mesi che avevano preceduto lo scoppio del Coronavirus. "A gennaio tutti noi abbiamo visto bronchiti e polmoniti strane che non rispondevano ai farmaci abituali. A posteriori, credo di poter dire che fossero Covid-19".

Il sentore che qualcosa di strano ci fosse già allora è emerso grazie ai dati di Ats ed Asst Bergamo, resi pubblici dopo la richiesta di accesso agli atti dell'ospedale Pesenti Fenaroli di Alzano Lombardo da parte del consigliere regionale di "Azione" Niccolò Carretta.

La diagnosi a cui si fa riferimento è la 486, "polmonite, agente non specificato": una diagnosi non rara durante la stagione invernale nell'ospedale di Alzano Lombardo, ma sono i numeri a scavare un solco con rispetto a quelli registrati negli stessi mesi degli anni precedenti il 2020.

Sempre dai dati di Ats Bergamo, risultano 196 polmoniti non riconosciute nel 2018, incrementatesi di oltre il 30% (si passa cioè a 256 casi) tra gennaio e dicembre 2019, ovvero quando ancora la pandemia era lungi dal deflagrare. Numeri che, ed è bene sottolinearlo, riguardano esclusivamente i ricoveri, mentre non sono compresi nè gli accessi alle strutture di pronto soccorso nè eventuali diagnosi di polmonite effettuate da personale medico. Se fosse possibile aggiungere anche queste, molto probabilmente, sarebbe possibile avere un quadro ancora più preciso dell'evoluzione della situazione.

"Dall’analisi del flusso Sdo relativo al periodo 1 dicembre - 23 febbraio, nel presidio ospedaliero “Pesenti Fenaroli” di Alzano Lombardo risultano 145 dimessi con diagnosi ricomprese tra i diversi codici utilizzati dal sistema di classificazione delle malattie di polmonite", spiega in una relazione che porta la sua firma il dottor Massimo Giupponi, direttore generale di Ats Bergamo. Di questi 145 la maggior parte risultavano identificati col codice 486, cioè "polmonite agente non specificato", anche se da essi non si può risalire a casi specifici di Sars Cov-2.

La procura della Repubblica ha dunque aperto un fascicolo ("epidemia colposa") per indagare su quei numeri, così come sulle procedure attuate dall'ospedale di Alzano Lombardo durante l'emergenza: lo scopo è quello di comprendere come siano sfuggiti ai controlli certi casi di polmoniti sospette. A finire nell'occhio del ciclone non solo il nosocomio, ma direttamente il ministero della Salute. Già dal 22 gennaio, infatti, erano state indicate delle linee guida tramite delle circolari ministeriali per determinare chi sottoporre a tamponi e visite specifiche per individuare casi di Coronavirus. La circolare in questione spiegava di prestare attenzione ad "una persona che manifesta un decorso clinico insolito o inaspettato, soprattutto un deterioramento improvviso nonostante un trattamento adeguato senza tener conto del luogo di residenza o storia di viaggio, anche se è stata identificata un’altra eziologia che spiega pienamente la situazione clinica".

Dopo soli 5 giorni, le direttive erano cambiate, ed è divenuto di fondamentale importanza anche la provenienza del paziente. Oltre ad avere dei sintomi evidenti, i casi sospetti dovevano avere anche "una storia di viaggi nella città di Wuhan (e nella provincia di Hubei), Cina, nei 14 giorni precedenti l’insorgenza della sintomatologia/visitato o lavorato in un mercato di animali vivi a Wuhan e/o nella provincia di Hubei, Cina". Così si è ridotto drasticamente, come ovvio, il campo di indagine, anche perchè i primi due casi registrati nell'ospedale di Alzano Lombardo non rientravano in queste specifiche linee guida.

Si cercano, pertanto, le responsabilità, anche per comprendere se sottoponendo quei famosi 110 casi a tamponi si sarebbe potuta evitare una vera e propria strage.

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