Ex Br libero dopo solo 8 mesi di cella

Per un pasticcio prescritti i reati di Bertulazzi: doveva scontare 27 anni

Ex Br libero dopo solo 8 mesi di cella

Nel quarantennale della strage di via Fani avvelenato dalle dichiarazioni dell'ex br Barbara Balzerani, viene archiviata dalla prescrizione la storia criminale di un altro brigatista della vecchia guardia. La Cassazione, con una sentenza pubblicata due giorni fa, chiude il braccio di ferro della Procura generale di Genova contro la Corte d'Appello ligure che nel giugno scorso aveva dichiarato estinti i reati commessi da Leonardo Bertulazzi. Per un pasticcio burocratico il ricorso contro quel provvedimento è «inammissibile» e oggi il 66enne anche per la legge è un uomo libero, nonostante abbia scontato appena 8 mesi di detenzione sui 27 anni a cui era stato condannato.

Nome di combattimento «Stefano», Bertulazzi è stato membro della colonna genovese dell'associazione terroristica e tra gli ideatori del sequestro dell'imprenditore Pietro Costa. Il cui riscatto, un miliardo e mezzo di lire pagato per la sua liberazione dopo 81 giorni in ostaggio, servì a finanziare anche l'acquisto dell'appartamento di via Montalcini a Roma, dove fu tenuto prigioniero Aldo Moro. Associazione sovversiva, sequestro di persona, partecipazione a banda armata: due condanne per complessivi 27 anni di carcere inflitte tra il 1985 e il 1986, una latitanza di altri venti in Sudamerica, quindi l'arresto e subito la libertà, senza mai essere estradato in Italia. Ora la prescrizione, con beffa. Il ricorso con cui la Procura generale aveva impugnato la prescrizione evidenziando «la mancata esecuzione dell'ordine di carcerazione di Bertulazzi seguito alla mancata estradizione», è scivolato su un inghippo amministrativo. L'impugnazione è «inammissibile» secondo i giudici di Cassazione, perché «intempestiva»: il ricorso, cioè, è stato presentato oltre il termine dei quindici giorni previsti dalla legge per farlo. Un ritardo non certo dovuto alla sciatteria della Procura, quanto invece, secondo la ricostruzione dell'iter burocratico, a un «errore materiale» contenuto nel provvedimento che sanciva la prescrizione, dove venivano citati 22 anni di condanna anziché 27. Risultato: il procuratore generale ha atteso la correzione di quell'atto, avvenuta il 3 luglio 2017, per presentare l'impugnazione. Ma ormai era troppo tardi. Secondo la Cassazione, che ha così accolto la tesi della difesa, i termini dovevano infatti decorrere «dalla comunicazione del provvedimento agli uffici della Procura», cioè il 12 giugno. E poi «tale ordinanza - scrive la Corte - è un atto distinto da quello concretamente impugnato». Insomma, un pasticcio. Così per quei ventidue giorni di «ritardo» oggi la prescrizione di Bertulazzi non ha più ostacoli.

E pensare che l'arresto nel 2002, eseguito in collaborazione con la polizia argentina, doveva essere il preludio della pena da scontare in Italia, dopo la fuga nel 1980 e un ventennio trascorso in latitanza in cui il brigatista aveva fatto perdere le sue tracce. Invece pochi mesi dopo le manette Bertulazzi tornava libero e veniva dichiarato «non estradabile perché condannato in contumacia».

«Quello che mi aspettavo è che in Italia cambiassero le cose e che finalmente venissero approvate leggi che non avrebbero più perseguito chi ormai era fuori da decenni da determinate logiche», commentò allora l'arresto il fratello Vittorio. Oggi quelle stesse leggi contestate fanno calare il sipario giudiziario sul passato dell'ex brigatista.

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