Politica

Il fantasma di Bossi

Quella che si apre questa mattina a Catania, infatti, è solo una delle tante linee di fuoco con cui dovrà confrontarsi nei mesi a venire il leader della Lega.

Il fantasma di Bossi

«A fare a gara a fare i puri, troverai sempre uno più puro che ti epura», diceva saggiamente Pietro Nenni. E chissà che oggi, accerchiato su molti fronti e con la prospettiva di nuove elezioni politiche nel lontano 2023, Matteo Salvini non si stia accorgendo di quanta verità ci fosse nelle parole dello storico leader socialista.

Quella che si apre questa mattina a Catania, infatti, è solo una delle tante linee di fuoco con cui dovrà confrontarsi nei mesi a venire il leader della Lega. E, peraltro, è di tutta evidenza che il caso Gregoretti è una vicenda squisitamente politica nella quale si prova a dare la croce addosso a Salvini per decisioni prese da un intero governo (il cui premier, peraltro, ancora oggi siede a Palazzo Chigi). Il punto, però, è l'accavallarsi di indagini e inchieste, ben più rischiose - politicamente parlando - delle due accuse per sequestro di persona legate ai respingimenti delle navi Gregoretti e Open Arms. Sono quelli - la vicenda Fontana e l'inchiesta sui commercialisti - i fronti che preoccupano un Salvini ben consapevole di quanto sia difficile giocare di rimessa con la magistratura, a meno di non volerne fare una campagna elettorale permanente. Il che, però, stona con i mesi a venire, in cui il dibattito sarà incentrato sull'emergenza Covid e su come investire i soldi del Recovery fund. Non è un caso che l'ex ministro dell'Interno abbia già da qualche settimana ritarato i toni, evitando quelli più bruschi, nel tentativo di fermare la discesa di consensi (confermata dagli ultimi sondaggi).

Sullo sfondo, con una prospettiva di così lungo periodo senza elezioni, il timore è quello della nemesi bossiana. Nel 2012, infatti, il fondatore della Lega passò nel giro di poche settimane dagli applausi scroscianti dei comizi alla celebre «notte delle scope» con Roberto Maroni a decantare la «pulizia» del partito. Un passo indietro, quello di Umberto Bossi, dovuto allo scandalo Belsito (e relativa inchiesta) e che ha di fatto aperto la strada a Salvini. Passato quasi un decennio, qualche timido segnale che la storia possa ripetersi si scorge. Ecco perché l'ex ministro è così preoccupato dal calo di consensi, ben cosciente che se dovesse scendere sotto il 20% si scavallerebbe una soglia psicologica che potrebbe aprire la strada a scenari imprevedibili. E questa volta a fare le veci di Maroni prima e Salvini poi potrebbe esserci Luca Zaia. Che, è vero, è concentrato sul Veneto e non pare brigare per guidare il Carroccio. Ma che oggi è il più autorevole rappresentante della Lega delle origini, quella fieramente autonomista e dedita solo agli interessi del Nord.

Il progetto alternativo a quella Lega «nazionale» tanto cara a Salvini e così poco amata dal cuore lombardo-veneto del leghismo.

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