Cronache

Federico, l'uomo di 30 anni che resterà bimbo per sempre

All'anagrafe è un adulto ma non si è mai sviluppato. Il padre: "Va curato in pediatria, ma noi non ci spostiamo"

Federico, l'uomo di 30 anni che resterà bimbo per sempre

Federico adora giocare con le chiavi di plastica: sono colorate e tintinnano. E poi ama circondarsi dei suoi pupazzetti, sempre ben schierati nel lettino con le sbarre. È un bambino in tutto e per tutto. Tranne che all'anagrafe, dove è registrato come un uomo di trent'anni. Tanti ne ha.
Eppure, a causa di un pezzettino di cromosoma in più, da quando è nato fa i conti con una sindrome che lo renderà bambino per sempre, che gli impedisce di svilupparsi, di camminare e parlare, che lo costringe a nutrirsi attraverso un sondino. Pesa solo 28 chili Federico e prende medicine pediatriche. Dal 1987 a oggi ha trascorso più tempo in ospedale che a casa sua e ha bisogno di assistenza perenne e quotidiana. L'ha ricevuta in tutti i modi e in tutte le forme, sia dalla sua famiglia, sia dal personale dell'ospedale Del Ponte di Varese, dove di fatto «abita». Innumerevoli le corse al pronto soccorso, in sala operatoria. E, ogni volta, il recupero, lento e lunghissimo, nella «sua» stanzetta del reparto di Pediatria. Ma l'età sulla carta dice che in quel reparto non ci può più stare. Formalmente lui è maggiorenne, è adulto e andrebbe trasferito altrove. Per tanti anni i medici hanno chiuso un occhio e si sono attenuti a una lettera firmata dall'ex primario di Pediatria, Luigi Nespoli, che ordinava di portare Federico Arca in Pediatria ogni qualvolta si fosse presentato al Pronto soccorso. Così è stato fino ad oggi. Il padre Giorgio Arca, che non lo molla un attimo e da sempre fa i turni in ospedale con la moglie Milena e la cognata, si chiede cosa accadrà alla prossima corsa in ospedale. E ha anche scritto una lettera aperta alla stampa locale, chiedendo di fare qualcosa per trovare lo spazio giusto per Federico, condannato a essere bambino a vita. «È vero che la legge non è chiara sull'argomento - commenta -. Ma dice che sta al medico valutare se il fisico del paziente corrisponde alla sua età. Ecco, il fisico di Federico è quello di un bambino. Quindi non ci muoviamo da Pediatria». Il caso sta molto a cuore ai medici di Varese. Tanto che, al di là di protocolli e anagrafe, si sta cercando di trovare la soluzione migliore. «Quel che è certo - spiega Massimo Agosti, primario di Neonatologia e direttore del dipartimento Mamma Bambino - è che faremo di tutto per assistere Federico nel modo più giusto e lui verrà spostato dalla Pediatria solo quando ci saranno le condizioni ottimali per farlo». L'idea è quella di trasferirlo in una sezione del reparto di Medicina interna, dove vengono curati gli adulti, e di creare attorno a lui un team di medici internisti, pediatri e infermieri che continuino a curarlo come è sempre accaduto. Il grosso guaio del «bambino» è che la sua è una malattia così rara che la casistica è minima. Anche il piano nazionale della cronicità lo dice: «Non esiste una rete assistenziale organizzata per i pazienti in età evolutiva con malattia rara/cronica nel delicato e complesso passaggio all'età adulta, in particolare nei casi in cui l'età anagrafica non corrisponda con il reale sviluppo fisico e cognitivo». Però dice anche che va creato un piano personalizzato. E così sta accadendo. «Federico - spiega Agosti - è il portabandiera di una truppa di bambini con problemi analoghi, altrettanto rari. Ce ne sono 5 ogni 10mila abitanti, tra casi più o meno gravi. E anche loro potrebbero trovarsi ad affrontare problemi del genere, non semplici da gestire». Per questo è importante trovare una soluzione pilota (e di buon senso). «Al di là di ogni retorica - sostiene Agosti - Federico da noi è davvero di casa. Il problema, comune all'Italia e agli altri Paesi dell'Unione europea, è trovare il modo di proseguire le cure e attuare un passaggio di testimone con gli altri interlocutori. Ci stiamo lavorando». Insomma, si vuole creare una situazione «modello» in cui i medici siano realmente «alleati» con i genitori e dialoghino con loro.

Cosa che forse non è avvenuta per il piccolo Charlie.

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