Femministi all'iraniana. Bufera sulla Luiss

Femministi all'iraniana. Bufera sulla Luiss
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La Luiss adesso è una fotografia. Il rettore, smagnificato, Andrea Prencipe, passa una sorta di lampada di Aladino a Mohammad-Reza Sabouri ambasciatore iraniano a Roma. È qualcosa di più di un premio, con tanto di motivazione che d'istinto non è facile capire. È, almeno per un giorno, un patto. Si collabora, con progetti di ricerca e scambi culturali. Le vie di Allah sono infinite. Quando questa storia trapela ci si chiede se l'università della Confindustria stia aprendo strade sconnesse oltre l'orizzonte dell'Occidente. La realtà sembra meno affascinante. I consiglieri di amministrazione si scrivono via chat con crescente stupore: «Ma è uno scherzo?». Il presidente Luigi Gubitosi chiama tutti quelli che può chiamare e per un'oretta nessuno risponde. Neppure alla Rai si è sentito così sperso. Cosa cavolo sta succedendo? Niente. Questo purtroppo mette a nudo i «non luoghi», che sprofondano nel senza senso, di cui ormai soffre la Luiss. Il rettore si è giustificato dicendo che l'ambasciatore ci teneva tanto e lui non sapeva, o voleva, dire di no. Lo ha giurato agli israeliani e agli americani. Lo ha detto pure ai capi di Confindustria, rimangiandosi qualsiasi accordo con Teheran. Al massimo ci si scambia qualche studente, rigorosamente maschio. Tanto rumore per nulla, insomma. Il guaio è che questa non è una figura meschina. È un corto circuito culturale. Non solo è la stessa Luiss che si vergogna di avere in cattedra Alessandro Orsini, ormai profeta delle ipocrisie atlantiche. Il paradosso è un altro. È che l'amata Alma mater, madre nutrice, ha aperto l'anno accademico con la lezione morale di Paola Cortellesi. «Siamo sicuri che se Biancaneve fosse stata una cozza il cacciatore l'avrebbe salvata lo stesso? Perché il principe ha bisogno di una scarpetta per riconoscere Cenerentola, non poteva guardarla in faccia?». È la grande intuizione delle favole sessiste, con i sette nani maschilisti e patriarcali, colpevoli di lasciare i piatti sporchi e pensare solo alla miniera. Ecco, le favole sono sessiste e l'Iran è senza peccato. La Luiss non sa che Sherazade non si salva e nessuna storia potrà mai commuovere gli Ayatollah. Racconta Sherazade con ognuno dei tuoi nomi: Masha, Hadis, Nika, Ilmaz, Asra, Sarina, Shirin, Nasrin, Fahimeh e tanti, tanti altri, che si ripetono giorno dopo giorno. Racconta che alla Luiss censurano le favole e premiano gli assassini di Sherazade. Come si spiega questa confusione? L'università degli industriali per inseguire le mode culturali ha perso la rotta. Non sa più chi è. Non si riconosce.

La Luiss era casa, da tempo non lo è più. Lo era al tramonto degli anni '80 nella roccaforte liberale e libertaria di scienze politiche, un'anomalia culturale, con il mondo fuori prigioniero del muro di Berlino e se parlavi di libero mercato sembrava una parolaccia. Alla libera università italiana di studi sociali, all'ombra della palazzina liberty di via Pola, con vista Nomentana, chiaramente a Roma, si studiavano Karl Popper e Ludwig von Mises, Friedrich von Hayek e Murray Rothbard. Si ragionava di circolo di Vienna e anarco capitalismo. Tutto un po' odorava di eresia.

Tutto questo anno dopo anno è svaporato. La Luiss si è sentita alla moda, rinnegando quel vestito controcorrente. È il mercato che si mangia le filosofie sul mercato. La Confindustria, madre e padre dell'ateneo, ha preferito normalizzare i suoi intellettuali. Li ha scelti per appartenenza, spesso pescando tra i propri «nemici».

Riceviamo e pubblichiamo:

In merito all’articolo pubblicato stamani su Il Giornale, dal titolo “Il femminismo iraniano della Luiss”, l’Ateneo smentisce che sia in discussione o sia prevista alcuna collaborazione accademica con Università e istituzioni iraniane.

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Cara Alma mater. Mi chiedete di scrivere la versione del rettore. Era già nel pezzo che vi preoccupate di smentire.

"Il rettore si è giustificato dicendo che l'ambasciatore ci teneva tanto e lui non sapeva, o voleva, dire di no. Lo ha giurato agli israeliani e agli americani. Lo ha detto pure ai capi di Confindustria, rimangiandosi qualsiasi accordo con Teheran".

Vittorio Macioce

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