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"Sono gay". E i genitori lo pestano a sangue

Un ragazzo romeno di 15 anni ha fatto outing davanti ai genitori. Il padre e la madre lo hanno picchiato a turno, usando anche una cinta. Il giovane li ha denunciati. Alla prima udienza del processo non si sono presentati

"Sono gay". E i genitori lo pestano a sangue

Il figlio fa outing dichiarando la propria omosessualità e i genitori lo picchiano a turno, prima la madre e poi il padre. È la storia tremenda che arriva da Latina dove una coppia di genitori romeni è a processo con l’accusa di maltrattamenti in famiglia avvenuti dopo aver appreso dell’omosessualità del figlio.

La confidenza ai genitori e poi le violenze

La coppia, 49 anni lui e 43 anni lei, è stata denunciata dal figlio che all’epoca dei fatti, ossia tra il 2017 e il 2019, aveva 15 anni. L’adolescente si era confidato con i familiari e aveva rivelato loro di essere attratto da ragazzi del suo stesso sesso. La reazione dei genitori è stata tremenda. Secondo quanto raccolto dall’accusa, il padre ha colpito il figlio con un pugno e lo ha preso a schiaffi. La madre lo avrebbe invece percosso con una cinta. Ai maltrattamenti fisici si sono affiancati quelli di natura psicologica, con il ragazzo costretto a frequentare alcuni luoghi di culto nella speranza che tornasse "sulla retta via". Le violenze, secondo quanto ricostruito dall’accusa guidata dal pm Antonio Sgarrella, sarebbero andate avanti per oltre due anni.

I genitori del ragazzo irreperibili: non si presentano in Aula

Nell’udienza preliminare davanti al giudice Giorgia Castriota, i genitori accusati di violenza sul figlio non si sono presentati. I due sono irreperibili. Nel suo capo d’accusa, il Pm Sgarrella afferma: “I genitori venuti a conoscenza dell’omosessualità del proprio figlio e non tollerandola lo hanno indotto a desistere dal suo orientamento sessuale e al suo rifiuto anche in altre occasioni, lo hanno percosso.

Con una pluralità di azioni vessatorie, morali e fisiche hanno maltrattato il figlio - ha scritto il pubblico ministero nel capo di imputazione - ponendo in essere una condotta abituale con più azioni che se realizzate in momenti successivi, sono risultate collegate da un nesso di abitualità. L’unica intenzione era quella di ledere l’integrità morale e fisica del ragazzo da rendere impossibile la convivenza”. A suffragio dell’accusa ci sono anche alcune testimonianze che confermano la versione del 15enne.

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