Cronache

Fondi alle paritarie Così si salva il vero pluralismo

Fondi alle paritarie Così si salva il vero pluralismo

Sbloccati i contributi per le scuole pubbliche paritarie. Proprio ieri il Consiglio di Stato ha respinto il ricorso dell'Aninsei che li teneva congelati da qualche mese. Ora la macchina ministeriale dia un segnale. Le scuole pubbliche paritarie ne hanno assoluto bisogno (stanno aspettando persino il saldo dello scorso anno): ne va della possibile, residuale libertà di scelta della famiglia in un pluralismo educativo già così attaccato. Senza pluralismo non c'è scelta. E non c'è libertà.

Il problema dei contributi è sorto a seguito della contestazione dei criteri di erogazione degli stessi da parte di Aninsei, Associazione nazionale istituti non statali di educazione e di istruzione. Il Consiglio di Stato ha stabilito che «lo scopo non di lucro» si ha solo quando il servizio scolastico è erogato gratuitamente o viene richiesta una frazione del costo del servizio. Il Miur, nel tentativo di dare attuazione alla sentenza, ha emanato un decreto piuttosto contraddittorio perché ha inserito il parametro oggettivo mantenendo nel contempo anche quello soggettivo. Azzeccagarbugli docet.

La Corte dei conti ha vistato il decreto ma in modo «ambiguo», affermando che la sua esecuzione può dar luogo a responsabilità amministrative. L'Aninsei ha fatto subito ricorso per ottemperanza, affermando che il decreto è elusione di quanto stabilito dal Consiglio di Stato stesso ma il ricorso è stato respinto.

Questa la vicenda che ha tenuto bloccati per mesi i contributi alle scuole pubbliche paritarie, creando loro gravissimi disagi nello svolgimento del proprio servizio, che è pubblico, pur non essendo statale. Ora il problema si è finalmente risolto, ma la vera soluzione va presa a monte per evitare, un domani, altre simili scene da «gride» di manzoniana memoria.

Le leve di trasparenza e di buona organizzazione, l'autonomia scolastica e la valutazione dei dirigenti e dei docenti, la detraibilità delle spese scolastiche e gli investimenti school bonus che la legge numero 107/2015 ha introdotto, vanno già verso una soluzione. Manca la «chiave di volta»: il costo standard per studente (delle scuole pubbliche statali e delle pubbliche paritarie) che consentirebbe alla famiglia una libera scelta educativa, innescherebbe un sano processo di rilancio delle scuole italiane del Servizio nazionale di istruzione, sotto lo sguardo garante dello Stato.

Una volta adottato il parametro «costo standard di sostenibilità» per studente consentirebbe: A) un positivo e necessario confronto tra le scuole pubbliche che diverrebbero realmente autonome sotto lo sguardo garante dello Stato, che non può essere unico gestore e contemporaneamente garante di se stesso; B) la possibilità per la famiglia di scegliere fra buona scuola pubblica statale e buona scuola pubblica paritaria; C) la possibilità per i docenti di esercitare scegliendo la buona scuola - la vera libertà di insegnamento; D) la valorizzazione dei docenti e il riconoscimento del merito; E) l'innalzamento del livello di qualità del sistema scolastico italiano con la naturale fine dei diplomifici; F) l'abbassamento dei costi e la destinazione delle economie ad altri scopi.

Insomma, si darebbe il via a un circolo virtuoso che romperebbe il meccanismo dei tagli conseguenti a sempre minori risorse (perché sprecate) che producono a loro volta altro debito pubblico. Il welfare non può sostenere altri costi; non a caso il principio di sussidiarietà, oltre ad avere una valenza etica, è anzitutto un principio economico prioritario. Si tratta di un'operazione che, oltre ad avere le sue buone ragioni di diritto, è perlomeno auspicabile in politica di spending review.

Nel saggio Il diritto di apprendere. Nuove linee di investimento per un sistema integrato (Giappichelli, Torino 2015) con la prefazione del ministro dell'Istruzione, si dimostra che questa operazione non solo sarebbe a costo zero, ma farebbe risparmiare allo Stato italiano, logorato dal debito pubblico, almeno 17 miliardi di euro.

Chi ha orecchi, intenda.

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