La funivia del Mottarone è la tragedia che contiene in se stessa il tempo della pandemia, che stiamo ancora vivendo. Stringendo il campo temporale, da una domenica primaverile di scampagnate fino ai secondi in cui accade questo dramma, si può sintetizzare in un solo attimo anche tutto ciò che ha sconvolto le nostre vite nei mesi del Covid. È quel rapporto tra vita umana e lavoro, tra salute ed economia che, 15 mesi fa, abbiamo scoperto essere in conflitto tra loro.
Oggi, di fronte alle vite spezzate sul Mottarone e a quella di Eitan che resiste, siamo tutti travolti da una tristezza angosciante. E il pensiero che l'evento sia dipeso dalla decisione, presa da altri nostri simili, di bloccare il freno di sicurezza per poter così vendere più biglietti, ci atterrisce. O, peggio ancora, scatena istinti odiosi. Ma se ci fermiamo un momento a riflettere, possiamo individuare qualcosa che ormai è diventato familiare. Forse siamo di fronte a una miniatura del Covid e delle sue conseguenze sociali: il freno di emergenza della cabina che agisce sul cavo trainante della funivia è lo specchio del nostro lockdown.
Quel freno è una misura di sicurezza che serve a salvare vite umane in caso di guasto alla funivia. Se tutto è a posto, non entrerà mai in funzione. Mentre quel pezzo di acciaio rossastro, detto «forchettone», che blocca le ganasce del freno per evitare «continui disservizi e blocchi della funivia» (parole della procuratrice Olimpia Bossi che indaga sui fatti) è diventato la risorsa di chi - di fronte a un rischio - non ha saputo fermare la propria attività economica: con il forchettone inserito, il freno avrebbe evitato di attivarsi inutilmente, facendo perdere ai gestori tempo e denaro. È il conflitto tra salute ed economia, vite umane e lavoro.
Il lockdown - qui usato come sintesi di tutte le limitazioni alle attività economiche, sociali e pure alle libertà individuali a cui siamo stati sottoposti - è servito a salvare vite umane. È stato il freno delle varie cabine dove stiamo noi tutti, sospesi sopra una realtà fatta anche di contagi, malati, ricoveri, terapie intensive. Certo, può essere scattato qualche volta di troppo. Ma il freno di emergenza funziona così, è una ipergaranzia. L'alternativa era per l'appunto il «forchettone». L'antidoto che in tanti, anche in assoluta buona fede, volevano applicare per evitare i «disservizi», gli effetti collaterali, principalmente economici.
La tragedia del Mottarone ci mostra cosa sarebbe successo se in Italia avessimo gestito la pandemia con il forchettone. Ci ricorda semplicemente quanto è grande il valore di una sola vita umana, quanto è urticante pensare a un bimbo di 5 anni che ha perso tutto in questo modo e ancora non lo sa. E così ci fa realizzare che non esistevano alternative al servo freno che un grande Paese mette in funzione in difesa della salute pubblica. Esattamente l'opposto di quello che è accaduto, in sedicesimo e in ambito privato, domenica scorsa sul Mottarone. Con il suo portato di orrore e impressione condiviso da un Paese intero.
Non crediamo che ci siano necessariamente i buoni e i cattivi in questo conflitto tra economia e salute. Né da una parte, né dall'altra. Dipende dalla testa delle persone. Impossibile generalizzare. Servono buona fede e controlli.
Entrambi potrebbero non esserci stati in un caso come questo (inchiesta appena aperta) o nella manutenzione del Ponte Morandi di Genova. Ma ora, con le riaperture di tante attività dopo i mesi di chiusura del Covid, buona fede e controlli diventano indispensabili per iniziare a rimuovere da questo Paese un senso di perenne insicurezza.
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