Cronache

Quei radar contro i migranti per bloccare la rotta balcanica

Più soldati, pattugliamento congiunto con gli sloveni e posizionamento dei radar lungo il confine: ecco la ricetta della Regione Friuli Venezia Giulia per contrastare l'ingresso di migranti provenienti dalla rotta balcanica. Previsto anche un programma di rimpatrio assistito

Quei radar contro i migranti per bloccare la rotta balcanica

Sono più di cinquemila i migranti entrati in Italia dalla rotta balcanica: quella che appare, fino a pochi mesi fa, una tratta oramai azzerata dopo gli accordi tra Ue e Turchia del 2016, torna adesso a preoccupare e coinvolge l’Italia.

A segnalare maggiormente il problema nei giorni scorsi è il presidente della Regione Friuli Venezia Giulia, Massimiliano Fedriga, il quale propone pattuglie miste composte da soldati italiani e sloveni lungo il confine, senza escludere però anche il ricorso alla tecnologia.

“Urgono più pattuglie miste di agenti italiani e sloveni – afferma su Libero il numero uno della giunta regionale – Ma insisto anche per barriere lungo il confine per facilitare i controlli nei boschi del Carso e possibilmente l'impiego di radar a rilevamento termico, capaci di individuare gruppi di persone prima che entrino nel nostro territorio”.

Soldati, ma anche barriere e radar dunque pur di scongiurare un’emergenza che potrebbe coinvolgere una regione, quale il Friuli Venezia Giulia, che fino a poco tempo fa sembra immune dalla questione migratoria.

L’immigrazione verso l’Italia dunque non avviene solo via mare: complessivamente, si contano in Friuli 5.526 migranti entrati dalla Slovenia, 3.509 intercettati poco dopo il loro ingresso, 2.017 invece hanno fatto domanda di asilo in un secondo momento. Tra questi, molti risultano essere pachistani: 342 di loro sono accolti nelle strutture in provincia di Pordenone, 712 invece in quella di Udine.

Si tratta di migranti che arrivano per l’appunto dalla rotta balcanica, ossia partono dalle coste turche e raggiungono le isole greche oppure, via terra da Alexandropoli, la penisola ellenica. Da qui poi, eludendo spesso i controlli delle autorità di Atene, provano a risalire la penisola balcanica.

Tale rotta appare molto frequentata tra il 2015 ed il 2016, quando arriva ad un massimo di 700.000 migranti che la percorrono. In quel caso però, molti di loro tramite Macedonia, Serbia ed Ungheria provano a raggiungere principalmente Austria e Germania. Gli accordi tra Ue e Turchia del 2016, ridimensionano la rotta balcanica ma non l’azzerano del tutto.

All’inizio di quest’ultima estate, il presidente turco Erdogan a più riprese rimarca di non aver ricevuto tutti i fondi previsti da Bruxelles e minaccia di strappare quegli accordi. Dal mese di luglio, in Grecia si assiste ad una nuova impennata di sbarchi, che porta quindi anche ad un aumento di migranti che tornano a percorrere la rotta balcanica.

Questa volta però il tragitto punta su paesi che ancora non hanno esperienza nella gestione del fenomeno, quali tra tutti Bosnia e Slovenia, passando anche per la Croazia. Per tal motivo, una parte del flusso che risale dai Balcani arriva anche in Italia, con il nostro paese che deve quindi guardarsi anche dagli ingressi irregolari via terra.

Ma per adesso ad interessarsi a questa vicenda è solo la regione Friuli: come detto, il presidente Fedriga chiede l’uso di soldati e radar per intercettare il flusso migratorio che interessa il territorio, l’assessore alla sicurezza Pierpaolo Roberti punta invece sui rimpatri assistiti volontari.

Un programma che aiuti le persone a tornare in patria, dando loro non solo il denaro per volare in sicurezza verso il proprio paese, ma anche quel che basta per poter ritrovare un collocamento nella società da cui si proviene. Un progetto ambizioso, per il quale occorrono non pochi fondi che, come afferma lo stesso Roberti, potrebbero essere dalla cassa del Fondo asilo, migrazione ed integrazione 2014 – 2020.

Inoltre, l’assessore ha presentato un progetto al ministero dell’interno che prevede uno stanziamento di 5 milioni di Euro finanziati dalla Ue per due anni.

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