
Adesso nevica, nevica fitto, sui quattromila metri del massiccio del Rosa. Il corpo che era stato intravisto nei giorni scorsi, una macchia distesa sul bianco, è stato presto sepolto dalla neve. E insieme al corpo la neve seppellisce chissà per quanti mesi le risposte a domande che si fanno in molti, nel mondo chiuso delle montagne. Chi era davvero la donna che oggi ha per tomba il ghiacciaio? Qual era il suo obiettivo, perseguito con forza incredibile, quale la necessità che l'ha spinta, con volontà vicina all'incoscienza, ad una impresa che avrebbe stroncato un giovane atleta? La storia della moldava senza nome si consuma pressoché in contemporanea con la tragedia dell'Haute Route, i sette alpinisti morti assiderati tra Zermatt e Chamonix: e ne viene inevitabilmente oscurata nei racconti di questi giorni. Ma se il caso dell'Haute Route ha diversi punti oscuri, la storia della moldava (o russa: neanche questo è chiarissimo) è avvolto in misteri molteplici e apparentemente inestricabili. E il fatto che i resti della donna siano ora irraggiungibili allontana ulteriormente la possibilità d capire.
Si sa che non era una ragazza: tra i quaranta e i cinquanta, e attrezzata più per una passeggiata che per una impresa estrema. Viaggia con due zaini, uno sul petto e uno sulla schiena, e - dettaglio quasi surreale - con due sacchetti di plastica. Se la vedono arrivare martedì scorso al Rifugio Mantova, 3.450 metri di altezza: appare già provata, e ne ha motivo. É arrivata fin lassù con gli impianti di risalita, per raggiungere il rifugio ha dovuto affrontare altri trecento metri di dislivello. Strada facendo ha perso parte del bagaglio, e chiede l'aiuto del personale per recuperarlo. Dorme al rifugio. L'indomani prende congedo e dice: vado al Rifugio Margherita. Al rifugio restano increduli. La Margherita è a Punta Gnifetti, quota 4.450, arrivarci con gli sci e le pelli di foca è una impresa da alpinisti tosti. Andarci a piedi, in questa stagione, una impresa da superman. Ma la moldava noleggia un paio di ciaspole, parte. E, incredibilmente, ce la fa.
Il Margherita in questa stagione è chiuso. Una sola stanza offre ospitalità a chi riesce ad arrivare fin lassù. E qui una guida trova la donna venerdì. Ma la pista non è ancora finita, il lungo viaggio nell'immensità bianca della montagna deve continuare: e sa Dio perché.
La donna ha un ultimo obiettivo: il Monte Rosa Hutte, il rifugio sul versante svizzero. Millesettecento metri più in basso, una discesa in uno sterminato mare di ghiaccio, il ghiacciaio di Grenz, circondato dai crepacci. Se la salita fino alla Margherita è stata una impresa inverosimile, riuscire arrivare alla Hutte è praticamente impossibile, anche perché nel frattempo il clima è cambiato, e sul massiccio sta arrivando la stessa perturbazione che intrappolerà sulla Haute Route i quattordici scialpinisti italiani e francesi.
L'impresa è impossibile, e infatti non riesce.
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