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Giorgia, la figlia e l'incubo di uno stalker

Giorgia, la figlia e l'incubo di uno stalker

Quando iniziano ad andare all'asilo i bambini fanno l'inserimento: una manciata di giorni a orario ridotto con i genitori a portata di mano nell'aula piena di giochi pronti ad attutire le crisi da distacco. In realtà l'inserimento è per i genitori. Li prendono, li recidono dal proprio figlio e li re-inseriscono nel mondo, irrimediabilmente diversi da prima. Staccarsi da un figlio che sa ancora di cucciolo, anche solo per sani, sacrosanti passaggi evolutivi, è un'incisione senza anestesia su carne viva. A ogni saluto, una manciata di sale. Inizia a essere così al primo abbraccio che si scioglie e, di fatto, non smette più. Allora si escogitano metodi, sistemi, piccoli rituali, scorciatoie nel ragionamento per evitare di accartocciarsi, per evitare che l'anima si secchi.

Per questo, alla fine ce la fanno tutti a mettere quella distanza. A patto di sapere i propri figli felici, al sicuro, esattamente dove li hanno lasciati. È questa l'unica cosa da fare: ripetere tutto questo come un mantra ogni volta che la circolazione si mette a vorticare nello stomaco togliendo vita da tutto il resto del corpo e lasciandolo in preda alla vertigine.

Ora pensate a Giorgia Meloni, la leader di Fratelli d'Italia, e a chissà quante altre donne che, come lei, hanno vissuto in un doppio incubo: quello del distacco e quello di non sapere al sicuro la propria bambina. L'incubo della Meloni è un uomo di Caserta di 31 anni, si chiama Raffaele Nugnes, è stato arrestato per stalking lo scorso luglio e ieri lo ha dovuto incontrare in aula, all'udienza del processo in cui si è costituita parte civile. Un'ossessione quella di Nugnes per la figlia di tre anni di Giorgia Meloni: diceva che era sua, e che la donna gliel'aveva portata via. Da lì messaggi intimidatori, minacce «hai tempo tre giorni per venire dove sai, se non vieni sai cosa succede, vengo alla Garbatella (dove abita Meloni con la famiglia, ndr)». Ora pensate a Giorgia Meloni e a chissà quante altre donne che, come lei, ogni giorno sono dovute uscire di casa sentire quel taglio sulla carne viva e non avere neppure la grazia di sapere la propria figlia al sicuro. Pensate alla Meloni che sta su un palco e parla a una folla, o che a un convegno stringe mani o che ascolta chi chiede, ha urgenze e fervore. Pensate alla Meloni che riunisce il partito, che convoca la stampa, che sale su un aereo aggiungendo distanza a «quella» distanza; pensate alla Meloni costretta a dormire fuori, a farsi calare addosso il buio, altrove, lontano da casa sua e dalla sua bambina. E la notte ha voci.

Pensate alla Meloni che deve pensare a quell'uomo mai visto che vuole la sua bambina che la «rivuole indietro» anche se non è mai stata sua; che gliela vuole prendere, rubare, strappare, portare via. Si impazzisce per molto meno, ci si paralizza con molto meno e per molto meno ci si sente gelare, come una terra senza sole. Pensare ai propri figli in pericolo e dovere condurre una vita «normale» è contro natura, come fare abbaiare un cavallo. Vivere in un simile incubo non è vivere, è morire in piedi: ogni giorno, a ogni saluto.

Per questo ieri, Giorgia Meloni, e chissà quante altre donne come lei, aveva tutta la nostra solidarietà, in quell'aula mentre finalmente guardava il suo incubo negli occhi e lo faceva scivolare via, come un'ombra colpita dalla luce.

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