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Giuseppi non si fida: non mi lascio friggere

Giuseppi non si fida: non mi lascio friggere

Alla fine il sismografo non è andato fuori controllo, come invece facevano supporre i roboanti proclami di guerra della vigilia. Anche ieri, però, all'interno della maggioranza è stata una giornata di scosse continue, con l'incidente parlamentare sempre a un passo, con Matteo Renzi che continua a tenere alta la tensione sull'esecutivo che lui stesso ha voluto e con Italia viva che insiste a votare con le opposizioni. Una dinamica «finiana», che ricorda molto i mesi che esattamente dieci anni fa precedettero prima l'implosione del Pdl e poi l'uscita di Gianfranco Fini dal governo.

Appare sempre più chiaro, infatti, che l'intenzione di Renzi è quella di cuocere a fuoco lento Giuseppe Conte (o «friggere», per usare il copyright del renziano Luciano Nobili), creando le condizioni per rendere il percorso del governo di fatto impraticabile. Ieri, per dire, sulla prescrizione la maggioranza è riuscita a non andare sotto in Commissione Giustizia alla Camera solo grazie al voto del presidente (che di prassi si astiene) e a una giravolta regolamentare la cui legittimità è ancora tutta da verificare (si è impedito di votare a un deputato dell'opposizione presente con regolare delega in sostituzione di un altro). Insomma, incidente sfiorato, a certificare che oltre ai toni ci sono anche i fatti. E che Renzi si sarebbe presentato molto volentieri nel salotto di Porta a Porta ha registrato ieri alle 18.30 forte dell'aver mandato sotto la maggioranza. Ci è andato a un passo, ma non c'è riuscito. Ma, forse, è una circostanza che cambia poco nell'equilibrio complessivo. Pur non avendo affondato i colpi quanto si poteva immaginare alla vigilia, infatti, è del tutto evidente che la frattura con Conte e con il Pd è ormai difficilmente sanabile. Seppure seguendo una graduale e ponderata escalation, infatti, l'ex premier ha ribadito che se sulla giustizia non si trova un accordo resta l'intenzione di presentare una mozione di sfiducia al ministro Alfonso Bonafede. Che, incidentalmente, è anche il capo delegazione del M5s. Il che, ovviamente, trasforma l'eventuale sua sfiducia in una vera e propria bomba sul Conte 2.

Renzi, insomma, insiste con la strategia della tensione. Arriva a chiedere al premier di abolire il reddito di cittadinanza (proposta evidentemente irricevibile) e poi tira fuori dal cilindro l'idea dell'elezione diretta del premier con tanto di appello a tutti i leader politici per sedersi a un tavolo e discutere di quello che definisce «l'unico modello istituzionale che funziona». Un'altra proposta destinata a cadere nel vuoto, perché è lampante che non esistono le condizioni né politiche né umane perché Conte, Renzi e Nicola Zingaretti possa sedersi allo stesso tavolo. «Vuole solo temporeggiare e butta la palla in tribuna», chiosava ieri sera in privato il presidente del Consiglio. Che però, per il momento, vuole prendere tempo, tanto che ieri sera a palazzo Chigi ci teneva a precisare che «non ci sono commenti ufficiali alle parole di Renzi».

Conte, però, ormai non ha più alcun dubbio sul fatto che Renzi stia puntando direttamente alla sua testa. Per lui, è il senso del ragionamento, sarebbe quello il traguardo più ambito, anche perché il leader di Italia viva sa bene quanto il premier sia di fatto il garante della tenuta di un M5s sempre più spaccato e in agitazione. Far saltare Conte, insomma, significherebbe compromettere l'asse M5s-Pd anche in vista dei prossimi appuntamenti elettorali. In alternativa, Renzi potrebbe davvero avere interesse a uscire dalla maggioranza, così da puntare il dito contro i suoi ex compagni del Pd e accusarli di tenere in piedi il governo «grazie a qualche Scilipoti». Sarà anche per questo che ieri sera sia da largo del Nazareno che da Palazzo Chigi hanno provato a mandare a Renzi segnali distensivi lasciando intendere che lo faranno sedere al tavolo che deciderà l'imminente pacchetto di nomine. Vedremo nelle prossime ore se l'ambasciata sortirà qualche effetto. Ma, comunque vada, i rapporti restano ormai compromessi. Al punto che il Pd sarebbe deciso ad andare avanti con la riforma della legge elettorale in senso proporzionale e con sbarramento al 5%, una soglia che spaventa non poco Renzi che con Italia viva nei sondaggi fatica ad arrivare al 4. Per capire quale e quanta sia la distanza tra l'ex premier e la sua maggioranza basta una battuta del sottosegretario alla presidenza del Consiglio Riccardo Fraccaro. «Mi ricorda molto Salvini. Mentre noi lavoravamo, anche lui chiosa si perdeva in chiacchiere e comizi dalla mattina alla sera. Come è andata a finire lo sappiamo». Male per Salvini, certo.

Ma anche per il governo.

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