Quello che serve adesso è un piano B. Giuseppe Conte magari ce l'ha, ma non lo vuole rivelare per non dare un vantaggio ai suoi avversari. Non ti immagini che, a una manciata di giorni dal Natale, con la pandemia sul collo e l'Italia in quarantena, si stia qui a ragionare sulla caduta del governo, sempre più probabile e vicina. Non diranno per ora che è una vera crisi, ma un rimpasto, un tagliando più o meno profondo. È che quando tocchi certi equilibri, già strutturalmente instabili, non si sa mai quello che accadrà e dove si andrà a finire. Il breve futuro all'orizzonte, che non supera la settimana, potrebbe aprirsi, solo che resta incerto e senza un progetto. Il governo moribondo naviga a vista anche sul dopo.
Il protagonista della giornata è Ettore Rosato. È il coordinatore di Italia viva. È, insomma, l'attuale uomo di fiducia di Matteo Renzi. È lui che si prende la responsabilità di suonare la campana. Parla a Sky Tg24 e dice: «Per noi finisce qua. Non c'è più la fiducia tra la maggioranza e il premier. Conte l'ha sciupata. Bisogna ricostruirla». Un tempo queste cose si chiarivano in Parlamento, con il voto su una legge, un provvedimento, un ordine del giorno. Ti tolgo la fiducia e ti faccio cadere. Ora tutto avviene fuori. Tutto questo non rende le cose più facili.
Che succede, allora? Conte, innanzitutto, dovrà davvero prima cadere. In teoria dovrebbe prendere atto delle parole di Rosato, in questo caso portavoce di un partito della sua maggioranza, e dare le dimissioni. Come è successo con Salvini nell'estate del Papeete. A quel punto si apre la grande trattativa. L'idea di andare alle elezioni nel bel mezzo della tempesta è l'ultima spiaggia. Il presidente Mattarella non l'ha esclusa, ma prima si cercherà di rimettere insieme i pezzi. Qui si aprono diversi scenari.
Il piano B di Conte potrebbe essere il Conte numero tre. Se qualcuno pensa che questa sia un'ipotesi surreale, sottovaluta la fantasia bizantina della politica italiana. Ci stanno davvero pensando. Non sanno ancora come ristrutturare il Palazzo e se troveranno la quadra, ma un progettino già sta circolando. Lo hanno battezzato il governo dei pezzi grossi. Conte premier, ma depotenziato. Al suo fianco come vice Luigi Di Maio e un notabile del Pd. Si fanno i nomi del vicesegretario Andrea Orlando (che però continua a dire che se il governo cade si va al voto) o Dario Franceschini, attuale ministro dei Beni culturali e del Turismo. Zingaretti invece se ne starebbe comodo a governare il Lazio. Quello è il suo feudo e alla fine ci sta bene.
E Renzi? Renzi si guarda allo specchio e si interroga. Una voce lo spinge a sedersi sulla poltrona di ministro degli Esteri, un ruolo di prestigio per rimettersi in gioco. Raccontano che Matteo sia un po' come Jep Gambardella: non vuole solo partecipare ai governi, vuole avere il potere di farli fallire. Non è detto che si accontenti della Farnesina. A meno che il premier non sia Di Maio. I due da tempo sono in grande sintonia. Il grillino, orfano di Salvini, potrebbe fare sponda con l'altro Matteo, ma questa volta da Palazzo Chigi. Questo scenario però è troppo strambo, e umiliante, perfino per il Pd. Franceschini, l'unico che davvero spera nella poltrona di Conte, ha già il dito pronto per cancellarlo.
Ricominciamo. Il Conte ter è il punto di partenza della grande trattativa. Perché il fu avvocato del popolo dovrebbe accettare? Perché l'importante è sedersi e non importa come. È la sua filosofia politica. Meglio lui di Draghi.
Ecco, Draghi. Draghi è l'ultimo confine prima del voto.
Non sarà affatto facile convincerlo. Le garanzie che ha chiesto non stanno arrivando. Non è abbastanza folle da mettersi a governare con una maggioranza che nel bel mezzo di una tragedia va in scena con la solita farsa. Non fate l'onda.
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