Quel grand'uomo di Lilli Gruber

Quel grand'uomo di Lilli Gruber

Siamo partiti come Alessandro Piperno: con le peggiori intenzioni. Abbiamo provato a usare le lenti antipatia, ricordandoci, senza grande fatica, che lei un mostro di simpatia proprio non è mai stata e che anche nella sua versione di carta certo non si ammorbidisce. Abbiamo provato a stanarla fin dalle prime righe, facendole ringhiare contro da una sua stessa riflessione: ma come, signora Lilli Gruber, dice che non esiste un destino genetico che conferisca agli uomini «limiti da maschietti», e poi lei, ai suddetti uomini (a Matteo Salvini, nella fattispecie) chiede «rose da femminuccia»?

Abbiamo pensato di poterci attaccare al suo aspetto fisico, a quello di nascita e a quello spregiudicatamente mantenuto fin qui per dimostrare puerilmente che «vedi? Non è poi così indenne dalla dinamica della seduzione, mica si conserverà così solo per piacere a se stessa». Altro che rossa, la Gruber è rosa fino al midollo. Sai che freccia...

E allora abbiamo provato a indignarci per il suo marito francese e intellettuale, illuminato, pacioso, perennemente intento a leggere, con un nome pastoso che riempie la bocca più di una sorsata di Bordeaux: Jacques. Macché ci si vanta così di un uomo?! Goditelo e basta. Ma anche qui, poca cosa.

Allora abbiamo fatto le annoiate preventive sul tema in generale: sì vabbè, ma davvero? Ancora? Nel 2019?! Centonovantotto pagine di veterofemminismo?! L'orrenda parure di potere-sessismo? Ancora con la «menata» delle quote, del lettone di Putin, della nipote di Mubarak, dei panni intimi di Berlusconi lavàti in pubblico, del ciuffo di Trump, degli occhi tristi di Melania, della differenza salariale e delle donne nel calcio?

Ma niente, l'unica cosa orrenda del libro della Gruber, sono il titolo (Basta! Il potere delle donne contro la politica del testosterone) e la foggia della copertina che impacchetta male un contenuto che meriterebbe tutt'altra confezione. Non fosse altro che per la mole di fatti puntali, citazioni precise, ricostruzioni ineccepibili e riflessioni illuminanti. Che vanno esattamente nella direzione opposta dei luoghi comuni che eravamo andate a cercare. Per carità, con la clava del pregiudizio in mano si fa tutto, ma a volere essere intellettualmente oneste, a darle torto proprio non ci riusciamo. L'unico effetto che ha avuto su di noi questo libro, è di scoprirci femministe alla soglia dei cinquanta. E non è certo perché, tra le altre cose, ha messo nero su bianco che «nei quotidiani nazionali ai vertici comparivano, nel 2018, 166 uomini e 17 donne. Sebbene le giornaliste siano oltre il 40 per cento». È perché, tra le altre cose, chiuso il libro, ci si sente potentissime. In quanto donne. In minoranza, ma esaltate dalla lotta. Forse anche perché, a scrivere della lotta, è la prima donna che ha presentato un telegiornale in prima serata.

Forse anche perché è una donna a cui nove uomini su dieci (compreso probabilmente Salvini) regalerebbero rose rosse. Fatto sta... vuole sapere cosa pensiamo di lei, dopo avere letto il suo libro sui maschietti? Che lei è un grand'uomo, signora Gruber.

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