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La guerra civile di parole che dimentica i fatti

La democrazia italiana, in questa estate troppo calda, ricorda un feuilleton che si muove sulla trama del "grande gioco".

La guerra civile di parole che dimentica i fatti

La democrazia italiana, in questa estate troppo calda, ricorda un feuilleton che si muove sulla trama del «grande gioco». È come ritrovarsi nelle terre di confine dell'Asia centrale, inseguendo il racconto del celebre libro di Peter Hopkirk. Non c'è dubbio che in una guerra di civiltà come quella che stiamo vivendo il lavoro dei servizi segreti sia più intenso del solito. Pechino e Mosca stanno da tempo cercando di destabilizzare le democrazie occidentali, puntando sulle loro fragilità, sui punti ciechi, sulla rabbia e sulla paura. Non è certo una sorpresa. L'Italia non ne è immune.

Il rischio però è di creare un clima di sospetto, che ha come solo obiettivo quello di avvelenare la campagna elettorale e di puntare l'indice contro presunti traditori. L'accusa in fondo è questa: lavorare per lo straniero. È così che Salvini, in particolare, diventa la quinta colonna di Putin. Ora il suo peccato, come quello che si cerca di far pesare su Berlusconi, è di aver parlato troppo con la diplomazia russa. Le ambasciate in genere fanno questo di lavoro, contattano, parlano, cercano di influenzare, raccontano il loro punto di vista. Lo fanno perché questa è la loro ragione sociale. Se diventano una minaccia l'unica arma, pesante e con conseguenze non da poco, è chiuderle. Quello che bisogna valutare è se tutto questo lavoro porta a qualcosa.

I fatti dicono che l'Italia è in Europa tra i Paesi che hanno fatto la scelta di campo più netta, senza tentennamenti, ricordando a Putin non solo la responsabilità della guerra ma chiarendo che la sua visione autocratica non ci appartiene. Ci sono state voci non allineate, ma l'identità liberal-democratica è un merito che va riconosciuto. La politica estera italiana per una volta è stata netta, chiara, senza troppi arabeschi. È vero che Conte, all'interno della maggioranza, ha cercato di boicottare l'invio di armi all'Ucraina, ma non ha trovato sponde e anzi si è ritrovato con l'opposizione in piena sintonia con Draghi. Neppure la caduta del governo cambierà la scelta di campo dell'Italia. Le elezioni non sono un rischio, perché su questo bisogna essere sinceri: con tutti i loro difetti, destra e sinistra restano occidentali. Di questi tempi non è affatto scontato. È chiaro che non bisogna abbassare la guardia, ma non va neppure dilapidato un capitale di affidabilità che in questi mesi l'Italia si è costruita con i suoi alleati.

Tutti i retroscena sono legittimi e i leader politici sono responsabili delle proprie azioni, ma vanno anche giudicati, dagli elettori, con fatti più concreti rispetto a colloqui messi in circolo da servizi segreti non identificati. La campagna elettorale, che è già carica di colpi bassi, rischia di dilapidare sul serio il buono dell'esperienza Draghi. Ci riporta in quel clima di guerra civile di parole che è il terreno più fertile per la strategia dissacrante di Pechino e di Mosca.

Alla fine, senza volerlo, si rischia perfino di fare il loro gioco, il grande gioco.

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