C’è una donna morta da quasi settant’anni che continua a vivere e moltiplicarsi. C’è una donna, sempre la stessa, che in quasi settant’anni ha salvato migliaia di vite senza riuscire a salvare la propria. C’è una donna che da settant’anni è un mistero che nessuna scienza e nessuna logica è riuscita a risolvere. Una storia che abita, come recitava la sigla dei telefilm Ai Confini della realtà, «tra l’oscuro baratro dell’ignoto e le vette luminose del sapere». La storia di una donna immortale come Highlander.
Eppure Henrietta Lacks, la donna immortale, non ha niente, ma proprio niente di straordinario. Tranne che sorride sempre qualunque cosa le succeda. È da quando era bambina che è così. Le sue sono giornate sempre uguali, ma tutte faticose. Sveglia prima dell’alba per mungere le mucche della fattoria di nonno Tommy, discendente di schiavi e coltivatore di tabacco, poi c’è da ripulire gli animali e dar loro da mangiare e infine l’orto da lavorare. Alla fine di tutto questo comincia la giornata vera e propria. Si fa tre chilometri a piedi per raggiungere la scuola di Clover, in Virginia, e finita quella, tre chilometri per tornare, e via a lavorare tabacco nei campi fino al tramonto. Quando arriva il periodo del raccolto però lei e i cugini vanno anche a lavorare per i bianchi a dieci centesimi a giornata. Da nonno Tommy c’era finita a quattro anni perché mamma Eliza era morta dando alla luce il decimo fratellino e papà Johnny, incapace di prendersi cura dei figli da solo, aveva trasferito la famiglia da Roanoke a Clover, dove i bambini furono distribuiti tra i parenti. Va a vivere in una capanna di tronchi a due piani che un tempo era stata l'alloggio degli schiavi della piantagione di proprietà del bisnonno e del prozio bianco di Henrietta.
Anche da adulta è piccolina, non più di un metro e mezzo, nera di pelle e con questo sorriso che illumina le praterie. Nella casa del nonno vive anche un cugino, David Lacks, perchè lei di suo fa Pleasant di cognome, di cinque anni più vecchio, che a 14 anni la mette incinta per la prima volta e a 21 la sposa. Il cugino di entrambi, Fred Garrett, convince la coppia a lasciare la fattoria e a trasferirsi nel Maryland dove David avrebbe potuto lavorare alla Bethlehem Steel and Sparrow's Point. Non molto tempo dopo Garrett si arruola per combattere nella seconda guerra mondiale e lascia i suoi risparmi a David perchè si compri casa al 713 di New Pittsburgh Avenue a Turner Station una delle più antiche e grandi comunità afroamericane della contea di Baltimora.
Avrà cinque figli tutti partoriti in casa tranne l’ultimo, Joseph, nato al John Hopkins di Baltimora, l’unico ospedale che accetta pazienti di colore. È lì, durante un controllo di routine quattro mesi dopo l’ultima gravidanza, che un ginecologo, Howard Jones, scopre qualcosa di brutto. Henrietta ha un tumore maligno al collo dell’utero e nessuna speranza di cavarsela. Lei però ci prova. Ha solo 31 anni, cinque bambini che ama e una gran voglia di vivere. Diffida comunque dei medici e tantissime volte aveva evitato di sottoporsi a visite e analisi. Tra gli afroamericani giravano brutte storie di medici che con il pretesto delle cure usavano i neri come cavie da laboratorio per sperimentare chissà quali porcherie. Ma stavolta è costretta a mettersi nelle loro mani. Provano con i trattamenti a base di radio, il meglio disponibile all’epoca, ma il destino ha già deciso. L’autopsia dimostrerà che il cancro aveva già metastatizzato tutto il corpo. Dieci mesi dopo, Henrietta non c’è più. Almeno così sembra.
Sono anni che un ricercatore patologo del Johns Hopkins, il dottor George Otto Gey, tenta di coltivare nel suo laboratorio campioni di tessuto prelevati da vari pazienti, ma una volta fuori dal corpo, le cellule muoiono sempre. Tutte, meno quello di Henrietta che al contrario si moltiplicano alla velocità della luce. Nessuno sa perché ma raddoppiano nel giro di una sola giornata. Hanno infatti 82 cromosomi invece di 46 e sono prive dei meccanismi che limitano il numero di volte in cui le cellule sane possono dividersi. «Se adeguatamente nutrite e tenute al caldo - racconta Rebecca Skloot nel libro La vita immortale di Henrietta Lacks - le cellule sono praticamente inarrestabili». Crescono venti volte più velocemente delle cellule sane e sono capaci di sopravvivere in condizioni impossibili. Immortali, appunto. Da quando Henrietta se ne è andata a oggi le cellule che si sono riprodotte, ribattezzate «HeLa», sono state 51mila tonnellate, 123mila chilometri in lunghezza, più di tre volte la circonferenza della Terra.
Si, ma a cosa servono? A quasi tutto. Sono state usate per testare il vaccino antipolio. E per curare molte forme di cancro cervicale, compreso quello che ha ucciso Henrietta. Sono state decisive nello studio del Papilloma virus che ha assegnato a Harald zur Hausen, il Premio Nobel per la Medicina 2008. Hanno rivelato che le cellule umane contengono 23 coppie di cromosomi, non 24, come si pensava. Dalle «HeLa» sono nati farmaci contro la leucemia, il morbo di Parkinson, l’emofilia, l’influenza, l’herpes. E sono state decisive negli studi sulla digestione del lattosio, sulle malattie a trasmissione sessuale, sull’appendicite, sulla longevità, sulle scorie tossiche. Gli devono molto i vaccini, la mappatura del Dna, la fecondazione in vitro. Adesso la lotta contro il Covid. «E non posso contare il numero - spiega Nicole C. Woitowich, direttore associato del Center for Reproductive Science della Northwestern University - degli scienziati che ci hanno lavorato. Henrietta ha contribuito alla formazione di migliaia di scienziati». Per dire: quelle che il dottor Gey chiamava «le mie preziose piccine» sono state citate in più di 110.000 pubblicazioni scientifiche e hanno dato vita a 11mila brevetti.
Tutto bene? Mica tanto. Perché di tutto questo nipoti e pronipoti di Henrietta per vent’anni non hanno saputo niente. Lo ha scoperto per caso una delle sue nuore cenando con un’amica sposata a un ricercatore. Nessuno ha chiesto a Henrietta Lacks e ai suoi discendenti il permesso di prelevare le sue cellule, nessuno è stato informato dell’uso che se ne voleva fare. E la figlia Deborah chiedeva: «Se nostra madre è così importante per la scienza perché noi non possiamo avere l’assicurazione sanitaria?».
Adesso gli eredi fanno parte di un comitato che esamina le richieste dei ricercatori di tutto il mondo e decide a chi con cedere le «HeLa» e a chi no. Per Deborah «lo spirito della madre dimora ancora nelle cellule e interviene nella vita di chi ne incrocia il cammino ». Pensare che nessuno sa dove sia la tomba di Henrietta ma i suoi nipoti sono convinti non sia lontano da quello della madre. A lei che tanto ha fatto per l’umanità, l’umanità per anni non ha regalato nè un pensiero, nè una tomba.
Poi si sono riscattati. Il Johns Hopkins Institute ha istituito l’Henrietta Lacks Memorial; la Morgan State University di Baltimora le ha assegnato una laurea in medicina honoris causa; L’Evergreen School District di Washington ha dato il suo nome alla nuova scuola medica; nel 2014 Henrietta è stata inserita nella Hall of Fame femminile del Maryland e nel 2017, hanno chiamato un pianeta con il suo nome «359426 Lacks». Dieci anni fa Roland Pattillo, un medico della Morehouse School of Medicine che aveva lavorato con il dottor Gey, ha donato una lapide a Henrietta su cui i nipoti hanno scritto l’epitaffio. «In amorevole ricordo di una donna, moglie e madre fenomenale che ha toccato la vita di molti. Qui giace Henrietta Lacks (HeLa).
Le sue cellule immortali continueranno ad aiutare l'umanità per sempre. Amore eterno e ammirazione dalla tua famiglia». Ciò che facciamo in vita, era una delle frasi del film Il Gladiatore, riecheggia nell’eternità. Chi meglio di Henrietta?- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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