"Ho sparato a John Lennon": quando la felicità non è una pistola fumante

L'8 dicembre 1980 John Lennon fu ucciso da 5 colpi d'arma da fuoco esplosi da Mark Chapman: il killer è ancora in carcere, la vedova Yoko Ono vuole sconti l'intera pena

"Ho sparato a John Lennon": quando la felicità non è una pistola fumante

Qualche anno dopo quel simpatico giovanotto inglese tornava a casa per vedere il suo figlioletto. Mentre firmava degli autografi, non so proprio perché, qualcuno gli sparò”. Così il personaggio di Forrest Gump, nell’omonimo film, per bocca di Tom Hanks, riassumeva in maniera eloquente l’assassinio di John Lennon.

Poco prima del 40esimo compleanno, l’8 ottobre 1980 Lennon aveva rilasciato un’intervista a Playboy, in cui aveva affermato: “Tra poco compio quarant'anni e la vita comincia a quarant'anni, così dicono. Oh, ma ci credo anch'io. Perché mi sento bene. Sono entusiasta”. Due mesi più tardi, il 9 dicembre, il cantante morì a causa dei colpi di arma da fuoco esplosi da Mark David Chapman nei pressi dell’abitazione dell’artista a New York.

Lennon aveva due figli, dei quali uno, Sean, aveva solo 5 anni. Aveva una moglie, Yoko Ono, e aveva combattuto per difendere il loro amore agli occhi del mondo. L’artista era un entusiasta e forse non si sarebbe mai aspettato di morire in quel modo. In una ninna nanna per Sean, Beautiful Boy, aveva scritto: “La vita è ciò che ti capita mentre sei impegnato in altri progetti”. Purtroppo la morte è arrivata inaspettatamente.

Un colpo tra le mille luci di New York

Mark Chapman

Classe 1955, americano del Texas, Chapman aveva avuto fino all’omicidio di Lennon una vita decisamente poco ordinaria. Un’infanzia in una famiglia con un padre violento, una conversione religiosa e numerose ossessioni erano alle spalle di un uomo depresso, con tendenze suicide, che credeva che la risposta a tutte le domande fosse nel romanzo Il giovane Holden.

Oltre al libro, una delle sue ossessioni erano proprio i Beatles: Chapman detestava il fatto che si fossero definiti più famosi di Dio e criticava Lennon per il fatto che vivesse nell’agio grazie alla sua arte. In più il brano God l’aveva fatto infuriare: l’artista nel testo scrisse che non credeva in Dio e che non credeva nei Beatles, ma solo nel suo amore con Yoko. Così Chapman, tre mesi prima dell’omicidio, iniziò a pianificarlo.

Nel pomeriggio del 9 dicembre 1980, alle 17, Chapman incontrò Lennon fuori dal Dakota Building a New York e si fece firmare la propria copia dell’album Double Fantasy. Cercò di restare con alcuni astanti in quel momento, tra cui una fan dei Beatles, che gli rifiutò l’appuntamento.

Allora Chapman attese e attese, fino alle 22.50, quando Ono e Lennon rientrarono al Dakota, dove vivevano, dopo una sessione di registrazione. Come riporta l’Independent, Yoko chiese a John di andare a cena prima di rientrare, ma il cantante le rispose: “Andiamo a casa perché voglio vedere Sean prima che vada a dormire”. Furono queste le sue ultime parole alla moglie.

I due coniugi non fecero il loro ingresso nel Dakota in auto, ma scesero sulla West 72nd Street: lì Chapman esplose 5 colpi con proiettili a punta cava, dei quali uno perforò il polmone dell’artista e un altro si conficcò nel collo. Uno dei soccorritori urlò all’assassino se si rendeva conto di cosa avesse fatto e lui risposte: “Ho appena sparato a John Lennon”. Dopo di che restò ad attendere la polizia in piedi in quei pressi, leggendo Il giovane Holden.

Poche decine di minuti più tardi Lennon, che i soccorritori ospedalieri cercarono di rianimare, fu dichiarato morto. Si dice che nella filodiffusione del nosocomio in quel momento stesse andando All My Loving dei Beatles, che recita: “Equando sarò via, scriverò a casa ogni giorno e ti spedirò tutto il mio amore”.

Le reazioni nel mondo dello spettacolo furono di grande cordoglio, a partire dagli stessi ex membri dei Beatles. Come spiega però UltimateClassicRock, le parole più commoventi provengono da quel bambino di 5 anni che un giorno sarebbe diventato anch’egli un musicista, il figlio del cantante Sean Lennon. Il piccolo disse: “Ora papà è parte di Dio. Penso che quando muori diventi molto più grande perché fai parte del tutto”.

Un tragico destino in una canzone

I Beatles

Le canzoni di Lennon, in particolare quelle dei Beatles, possiedono un fascino senza tempo. Ma nei decenni alcune di queste suggestioni sono state fraintese o acconciate per sostenere qualche folle teoria. Come Helter Skelter, che Charles Manson utilizzò per spiegare la sua teoria del caos e giustificare gli omicidi della Manson Family. Una dei cui membri, Susan Atkins, era stato proprio ribattezzata Sadie con riferimento al brano dei Fab Four Sexy Sadie. Ci sono poi tutte le canzoni a supporto della bizzarra teoria del Pid (Paul Is Dead), secondo cui Paul McCartney sarebbe morto in un incidente stradale e sostituito da un sosia.

Ma il brano che stride fortemente con quello che è accaduto a John Lennon è Happyness Is a Warm Gun (ossia “la felicità è una pistola calda”). La canzone nacque dopo che il cantante lesse un articolo in cui un padre raccontava al figlio l’emozione di averlo fatto sparare per la prima volta, cosa che all’artista sembrò folle: così partorì un brano pieno di divertissement, doppi sensi e metafore. In queste alcuni ci hanno visto l’eroina, eventualità sempre smentita da Lennon, ma è molto più probabile che la canzone presenti delle allusioni sessuali, tanto più che viene probabilmente citata la moglie del cantante, Yoko Ono, nel testo chiamata “Mother Superior”. Certo è che quel titolo, all’epoca dell’omicidio di Lennon fece un grande scalpore, proprio per come l’artista fu assassinato.

La scena del crimine

Il Dakota Building

Il Dakota Building è uno storico edificio di New York realizzato alla fine del XIX secolo. Le sue suggestioni artistiche sono straordinarie, tanto che molto spesso hanno ispirato diversi artisti, soprattutto nella settima arte. Per esempio, nel film di Rosemary’s Baby di Roman Polansky, la vicenda di satanismo che costituisce la trama del film è ambientata nel Dakota, anche se gli interni sono stati ricostruiti in studio. Un anno dopo l’uscita della pellicola, Charles Manson fu il mandante del crimine che rese Polansky vittima indiretta. La Manson Family trucidò infatti alcuni ospiti di casa Polansky, la moglie del regista Sharon Tate e il piccolo Patrick, il nascituro che l’attrice portava in grembo.

Anni dopo, nonostante la coincidenza luttuosa, il Dakota sarebbe diventata la residenza della famiglia Ono Lennon e il luogo in cui il cantante avrebbe trovato una morte inaspettata.

La condanna e la vedova

Yoko Ono e John Lennon

Pare che Chapman abbia avuto altri obiettivi nella sua follia omicida. Tra questi obiettivi un altro ex Beatles - Paul McCartney, David Bowie, Elizabeth Taylor, l’ex first lady Jaqueline Kennedy Onassis e perfino il presidente degli Stati Uniti appena eletto e non ancora insediato Ronald Reagan.

Accusato di omicidio di secondo grado, Chapman fu condannato al carcere a vita il 24 agosto 1981. Dopo i primi vent’anni in prigione, in cui l’uomo è stato anche seguito da cure psichiatriche, è stato ammesso alle udienze per la libertà vigilata, che però gli è sempre stata negata. La vedova Yoko Ono ha sempre chiesto a gran voce che l’uomo resti in carcere a scontare la propria condanna all’ergastolo.

In questi anni, Yoko ha trattato pubblicamente la propria tragedia personale per opporsi all’utilizzo indiscriminato

delle armi, garantito dal Secondo Emendamento, negli Stati Uniti. La moglie di John Lennon ha diffuso lo scatto realizzato agli occhiali insanguinati dell’artista, realizzata dopo la morte del suo amato.

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