Economia

I Benetton entrano in Alitalia Di Maio perde ancora la faccia

I Benetton entrano in Alitalia Di Maio perde ancora la faccia

Una penale. Anche se non si può dire. Anche se nessuno lo ammette. L'investimento di Atlantia nell'Alitalia giallo-verde dovrebbe essere nell'ordine dei 3-400 milioni: una penale. A tanto ammonta il biglietto d'ingresso in un azionariato che avrà lo Stato in maggioranza (con le Fs maggiore azionista), un partner aereo (Delta) e un altro industriale, Atlantia per l'appunto. Per la holding dei Benetton che gestisce gli Aeroporti di Roma e le Autostrade per l'Italia, 3-400 milioni non sono niente se rapportati a una «potenza di fuoco» (l'ammontare di equity e debito disponibili per investimenti) stimata nell'ordine dei 5 miliardi. Per questo, a un mese dal primo anniversario del crollo del Ponte Morandi, l'ingresso decisivo dei Benetton nel salvataggio di Alitalia suona tanto come un prezzo ritenuto equo da pagare nel percorso di pacificazione con la componente grillina del governo, che da 11 mesi minaccia di revocare le concessioni ad Autostrade.

Ancora ieri il vicepremier e capo del Mise Luigi Di Maio ha ribadito entrambe le questioni: «Oggi possiamo dire di avere posto le basi per il rilancio di Alitalia», ha dichiarato dopo l'annuncio della scelta del partner. «Ma sia chiara una cosa», ha subito aggiunto: «Sulla revoca della concessione ad Autostrade non indietreggiamo di un solo centimetro!». Per questo non ci pare che l'ennesimo salvataggio della ex compagnia di bandiera nasca sotto i migliori auspici. Intanto perché sfugge il senso del coinvolgimento di treni e strade nell'assetto di una società di traffico aereo. E poi perché l'ingresso - determinante - della holding dei Benetton, per le cose viste fin qui, sembra proprio una forzatura.

Fino a tre giorni fa Atlantia non aveva nemmeno preso in considerazione la cosa. Poi lo ha fatto proprio all'ultimo minuto. E per poter vantare di aver rispettato i termini (la scadenza delle offerte era ieri), le parti si sono inventate di poter trattare i dettagli in un secondo tempo. Geniale. Ma d'altra parte il governo - con particolare riferimento a Di Maio - ha confermato in questa operazione la sua cifra in materia economica. Lo stile è ormai consolidato: vale tutto e il contrario di tutto. La coerenza è un «optional». In Alitalia la questione Benetton fa emergere in maniera evidente quello che avevamo già visto a Taranto, con il tira e molla sull'Ilva, terminato con l'arrivo di Arcelor Mittal. E con buona pace delle truppe grilline, che sullo stop all'Ilva avevano fondato il grande successo elettorale ottenuto da M5s in Puglia. Stesso copione per il Tap, il gasdotto Transadriatico. Idem in Piemonte, dove il no alla Tav, un tema addirittura identitario per il Movimento, è ormai stato messo in piena discussione. Ma questo è quanto. E ormai si è capito. Quello che conta non è mai un progetto industriale o un percorso di sviluppo. Questi vengono ideati e manipolati a seconda delle esigenze di opportunità e di potere che via via si presentano sulla strada di questo governo.

Il cui obiettivo - più andreottiano che mai - resta il tirare a campare.

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