Cronache

I moralisti crocifiggono De Luca per una frase da bar sulla Bindi

I moralisti crocifiggono De Luca per una frase da bar sulla Bindi

Oh, mamma mia, che scandalo, che indignazione, le «inaccettabili parole» di Vincenzo De Luca. Il colorito governatore della Campania stavolta ha detto di Rosi Bindi che è un'infame, «da ucciderla», e apriti cielo, apriti Pd, apriti pure il solito Roberto Saviano, il quale non manca di timbrare il cartellino dell'antimafia orale, e appena riesce cinguetta su Twitter: «Parole mafiose». Addirittura? Vabbè, allora mafiosa sarà stata anche la Bindi, quando inserì De Luca nella lista dei candidati «impresentabili», perché non è bello essere definiti impresentabili, e chi è De Luca, un mostro? Un serial killer? Un criminale? Mentre l'accusa di impresentabilità è reale, l'intento di uccisione è solo metaforico.

Attenzione: viceversa lo stesso Saviano, implicitamente, commentando «parole mafiose» sta dando a De Luca del mafioso vero e proprio, ossia lo sta indicando come uno in grado di mandare un messaggio a qualcun altro disposto davvero a uccidere la Bindi. Non accettando il codice espressivo della parola, carica subdolamente di senso quel «da ucciderla» quasi che anziché De Luca a pronunciarlo fosse un boss della camorra. Si ritiene uno scrittore ma ignora il linguaggio figurato. Tuttavia, siccome in fondo è un gentleman, successivamente De Luca si è scusato, ha spiegato, ha dichiarato rispetto per la Bindi, ha precisato che mica voleva davvero ucciderla, ci mancherebbe, ma, dico io, ce n'era bisogno? Nella fattispecie: il buon senso della lingua dovrebbe derubricare dal senso letterale le parole che hanno un fine espressivo, altrimenti saremmo tutti assassini, o altro. Insomma, sul serio qualcuno, a parte Saviano, crede davvero che De Luca voglia uccidere Rosi Bindi? Sono espressioni che si usano quotidianamente perfino tra ragazzini, tra coniugi, tra amanti: tesoro, questa volta ti uccido; mio marito lo ammazzo. Io non so quante volte ho sbottato contro qualcuno con cui ero arrabbiato con un «ti uccido», senza per questo pensare di ucciderlo in senso tecnico. Così come non conto quante volte mia mamma mi ha detto da piccolo «Massimiliano, ti uccido» (perfino ora, a volte), eppure miracolosamente sono ancora vivo, altrimenti non potrei scrivere questo articolo e mia mamma sarebbe in galera. La mia fidanzata, poi, dichiara di volermi uccidere ogni giorno, forse potrei chiedere la scorta.

Tra l'altro a Roma, nella capitale, è facile litigare tra automobilisti e sentirsi dire: «Ma vai a mori' ammazzato». Nessuno, una volta tornato a casa, crede davvero che quello a cui hai tagliato la strada ti mandi un sicario per farti fuori. Solo Saviano.

Massimiliano Parente

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