Coronavirus

Coronavirus, quei piccoli artigiani che hanno pensato di togliersi la vita

Si tratta di tre casi emblematici di una categoria già in condizioni precarie prima dell’epidemia, che hanno avuto il colpo di grazia con il coronavirus. "Non lavorando, le soluzioni sono tre: chiedere aiuto agli amici, rubare o suicidarsi”, è la frase scioccante di un fabbro romano

Coronavirus, quei piccoli artigiani che hanno pensato di togliersi la vita

Non lavorando, le soluzioni sono tre: chiedere aiuto agli amici, rubare o suicidarsi”. È la frase scioccante di un fabbro romano colpito gravemente dall’emergenza coronavirus. E come lui, anche un falegname e un giardiniere hanno pensato al gesto estremo di togliersi la vita. Rappresentano tre casi emblematici di una categoria, quella dei piccoli artigiani, già in condizioni precarie prima dell’epidemia, che hanno avuto il colpo di grazia con il Covid-19. Ricordiamo che ieri si è verificato il primo suicidio a causa dell'epidemia. Un imprenditore di 57 anni si è impiccato all’interno della sua azienda nel quartiere periferico di San Giovanni a Teduccio, nel Napoletano.

Il fabbro

Giorgio Del Grosso è un fabbro messo in ginocchio dal coronavirus. L’uomo vive da solo, non ha una casa e dorme all’interno del suo laboratorio dove si occupa di interventi su porte blindate, inferriate, infissi, cambi serratura.

Da marzo la situazione è diventata disastrosa - racconta al giornale.it -. La gente era a casa, nessuno ordinava i lavori e quindi noi siamo stati abbandonati al nostro destino. Le commesse sono calate in maniera drastica e spaventosa”.

Il fabbro svolge la sua professione da circa 40 anni. Per 35 anni ha lavorato in un laboratorio al Forte Boccea, zona ovest della Capitale. Poi il vecchio proprietario ha venduto a una ditta di costruzioni e hanno demolito l’edificio. “Ho dovuto cercare un altro locale per ripartire e dopo tanti anni non è semplice perché i clienti li perdi tutti”.

Giorgio paga 900 euro al mese di affitto più le altre spese. È rimasto fermo per due mesi ma già prima del Covid-19 era in una situazione precaria. “In questo periodo mi hanno aiutato gli amici. Non lavorando, le soluzioni sono tre: chiedere aiuto agli amici, rubare o suicidarsi - sottolinea l’uomo -. La realtà dei fatti è questa e non ci sono tante alternative. Non lavori per due mesi, le spese vanno avanti, non hai un centesimo. O qualcuno ti dà una mano, altrimenti che fai?”. Un aiuto l’ha ricevuto anche da SolidAbile, un’associazione che fa parte della rete Movi (Movimento di volontariato italiano). In tutto questo ci racconta che non ha nemmeno visto il bonus da 600 euro e che purtroppo se sei costretto a chiudere l’attività, come avvenuto in questa epidemia, “nessuno ti garantisce nulla”.

Giorgio sottolinea di vivere un momento di esasperazione, preoccupazione e indignazione ma allo stesso tempo vuole essere ottimista e speranzoso per il futuro. Dal 4 maggio ha ripreso a lavorare ma solo per alcuni pronti interventi. “Devo resistere”, evidenzia il fabbro, il quale spera di riprendere un ritmo di vita più dignitoso. Infine un messaggio agli amici: “Chi mi ha aiutato sarà a suo tempo ben ricompensato”.

Depressione e povertà

Tra i casi drammatici ci sono anche quelli di un falegname e di un giardiniere. Entrambi hanno pensato al suicidio perché si sono trovati in condizioni economiche molto gravi. I due uomini sono stati seguiti dall’Arcat (Associazione Regionale Club Alcologici Territoriali) Lazio su segnalazione dei familiari. La psicoterapeuta Maria Santa Lorenzini, referente regionale dell’Arcat e fondatrice della onlus La casa sull’albero (entrambe federate al Movi) ci racconta le loro storie.

Il falegname, un uomo di circa 50 anni, aveva chiuso la partita Iva l’anno scorso. Ora sta lavorando con una cooperativa che l’ha messo in cassa integrazione ma quest’ultima ancora non è arrivata. È fermo da due mesi. “È ritornato in depressione - racconta Lorenzini al giornale.it -. Prova un senso di inutilità e frustrazione. Basti pensare che la cooperativa lo paga 2,50 euro all’ora. È riuscito a non bere però è a rischio”. La situazione è ancora più grave in quanto l’uomo ha una famiglia, due figli e la moglie che svolge un lavoro saltuario come venditrice ambulante.

Il giardiniere è un uomo di circa 40 anni che prima lavorava come informatico in una ditta di famiglia. Vive da solo, da 10 anni aveva una compagna che l’ha lasciato in questo periodo a causa delle difficoltà economiche dell’uomo. La psicoterapeuta ci racconta che è ricaduto nell’alcol ma ora è in astinenza da 20 giorni. “Partecipa alle sedute, è sveglio e attivo. Ora speriamo possa riprendere la sua attività perché la mancanza di lavoro è un’aggravante”.

Lorenzini sottolinea l’importanza dello sportello di ascolto e dei gruppi, un servizio fondamentale svolto anche grazie al volontariato.

Di richieste ne arrivano tantissime, anche di persone che dicono di volersi ammazzare”.

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