Guerra in Israele

I tagliagole di Hamas: il "Giornale" vi racconta i 40 minuti dell'orrore che nessuno può vedere

Quel 7 ottobre i terroristi di Hamas hanno commesso un delitto contro l'umanità, hanno violato il suo spirito, hanno dimostrato come gli uomini possano essere più feroci degli animali, siano capaci di spogliarsi di ogni sentimento di pietà

I tagliagole di Hamas: il "Giornale" vi racconta i 40 minuti dell'orrore che nessuno può vedere

Immagini crude, terribili. Quel 7 ottobre i terroristi di Hamas hanno commesso un delitto contro l'umanità, hanno violato il suo spirito, hanno dimostrato come gli uomini possano essere più feroci degli animali, siano capaci di spogliarsi di ogni sentimento di pietà. Quel giorno non è andata in scena una guerra con le sue atrocità, ma l'odio. Un odio covato, profondo, represso capace anche di cambiare i connotati facciali dei terroristi. Le scene dell'eccidio al rave party del Nova Festival o dei massacri del Kibbutz Holit e della comunità di Kfar Aza sono parenti strette di quelle dei pogrom. E il paragone non va a immagini di epiche battaglie: il riso ebete degli assassini mentre uccidono ricorda la banalità del male dei campi di concentramento nazisti, le montagne di cadaveri ammucchiati fuori dalle camere a gas di Auschwitz, di Buchenwald, di Ravensbruck. Con una differenza: nei campi di concentramento la morte era delegata a strutture quasi industriali, a un interruttore; il 7 ottobre, invece, più di 1.200 persone in una zona grande quasi un terzo di Israele sono state inseguite, scovate, braccate, uccise una per una, con gli occhi della ferocia, al grido «ebreo, ebreo» o con quell'esclamazione ancor famosa quanto agghiacciante che confonde le più terrificanti empietà con il sentimento religioso, «Allah akbar». Quel giorno è stato ucciso il maggior numero di ebrei dai tempi della Shoah, Hamas ha fatto più vittime di tutte le guerre che hanno costellato la giovane vita dello Stato di Israele.

Sono questi i pensieri che ti arrovellano la mente mentre guardi quei 45 minuti di immagini raccapriccianti che il governo di Gerusalemme vuole che i media raccontino all'opinione pubblica mondiale per comprendere la tragedia che ha colpito il Paese e i sentimenti di un popolo ferito. Frammenti raccolti dalle body cam dei terroristi, dagli smartphone delle vittime, dalle telecamere di controllo dei luoghi violentati.

Nella saletta dell'ufficio economico d'Israele a Milano a commentare quelle atrocità c'è l'ambasciatore in Italia Alon Bar. Lui quel filmato lo ha visto più volte, ma riesce a stento trattenere le lacrime. Chi lo vede per la prima volta, invece, è percorso da brividi, ogni fotogramma si trasforma in un pugno nello stomaco e in una coltellata nell'anima. A volte non ce la fai e distogli lo sguardo di fronte a certe nefandezze e non ti dai ragione del perché uomini come te possano ridere mentre compiono i peggiori peccati. Al punto che ti sorge dubbio che quegli sguardi iniettati di sangue non appartengano al genere umano ma alla crudeltà delle bestie. Spiega l'ambasciatore, anzi lo grida: «Non si potrà tornare a prima del 7 ottobre, non si potrà mai tornare indietro. Noi non potremo mai accettare che dopo ciò che ha fatto possa ancora esistere Hamas. Non è un problema del governo o di Netanyahu, non lo capirebbe la nostra società, la nostra gente». Parla a noi ma è come se parlasse a chi vuole pareggiare il dramma di Israele con la tragedia di Gaza, a chi è consapevole della mistificazione ma per un confuso desiderio di pace (vedi Biden) vuole rimuovere quel ricordo, dimenticarlo agitando verso il popolo ebreo lo spettro dell'isolamento.

Solo che non si può esorcizzare l'orrore. Le scene di quel maledetto 7 ottobre sono un inferno scatenato in nome di una falsa fede. È blasfemo tagliare con un coltello la testa a un soldato o decapitare un corpo con una zappa, colpendo, colpendo e colpendo ancora, inneggiando ad Allah. O ancora trucidare un padre mentre tenta di mettere in salvo i suoi figli di 8, 9 anni, seminudi. E poi con la massima naturalezza chiedergli, come fa un miliziano, se vogliono un bicchier d'acqua. Con il più piccolo che ripete una domanda straziante: «Perché sono vivo? Perché sono vivo?». E ancora le immagini di quelle giovani che si tengono per mano, si abbracciano terrorizzate mentre gli orchi gli danzano attorno, urlano, inveiscono. O che vengono costrette a salire sui pick-up o sui suv di Hamas con gli indumenti macchiati di sangue tra le gambe. Molte di loro saranno stuprate e uccise, saranno rinvenute con il bacino rotto per le violenze subite, «sfacciate» (termine agghiacciante) o bruciate per nasconderne l'identità. «Il silenzio della comunità internazionale sugli abusi sessuali commessi sulle donne israeliane - si infervora l'ambasciatore - è imbarazzante. Indigna. Ci sono prove documentali eloquenti, testimonianze oculari e confessioni. L'ossessione dei terroristi per la mutilazione di seni e genitali».

E ancora istantanee di corpi bruciati dalle bombe al fosforo usate dai terroristi contro civili inermi. Cadaveri di neonati abbandonati nelle loro culle. Immagini di ragazze e ragazzi inseguiti nel deserto come prede e giustiziati mentre implorano pietà.

E poi c'è la registrazione di un aguzzino che non avrà neppure venti anni che chiama la famiglia. Farnetica come i giovani SS di ottanta anni fa. «Papà, sono a Mefalsim! Ne ho uccisi 10 con le mie mani!» si vanta. E ancora: «Passami mamma. Mamma tuo figlio è un eroe». Ma che eroe è uno che uccide neonati, decapita persone legate, stupra e brucia ragazze indifese? È il prodotto di una dottrina che deforma, corrompe, distorce la realtà. Una mente avvelenata da falsi maestri che si nascondono nei tunnel della striscia o negli hotel sette stelle di Doha.

Già, Hamas. Ha ancora in mano gli ostaggi. L'elenco è preciso: 137 civili tra cui 2 bambini, 20 donne e 10 anziani di oltre 75 anni. Probabilmente 20 sono già morti e Hamas ne conserva i cadaveri. «Tenerli è un crimine di guerra - è il j'accuse dell'ambasciatore Alon Bar - la comunità internazionale dovrebbe darci un supporto incondizionato per il loro rilascio».

Inutile nasconderlo, per Israele non ci sarà pace finché non saranno eliminate le menti che hanno ideato lo scempio del 7 ottobre. «Hamas - è il pensiero dell'ambasciatore - non vuole soluzioni, ma la distruzione dello Stato di Israele e l'eliminazione di tutti gli ebrei. Israele vuole una soluzione al conflitto, vuole che Gaza si autogoverni e non intende restare a Gaza. Ma vuole assicurarsi anche che mai più Hamas possa aggredire e trucidare la sua popolazione».

Un obiettivo che vuole perseguire ad ogni costo perché è in ballo la sua sopravvivenza. Ecco perché l'idea di non essere capito, di rischiare l'isolamento, è la vera preoccupazione del governo di Gerusalemme. Non ci potrà essere pace finché esisterà Hamas. E l'unica strada verso la pace è che i palestinesi rinneghino i terroristi, riescano ad emanciparsi dalla loro influenza, magari legandosi ai paesi arabi, quelli del patto di Abramo, che hanno già accettato l'esistenza dello Stato di Israele e hanno imboccato la strada della convivenza.

Una strada, magari tortuosa, ma dopo l'inferno del 7 ottobre non c'è un israeliano che ne scorga un'altra.

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