"I giornalisti di Charlie Hebdo se la sono andata a cercare"

Nella moschea di Roma, la più grande d'Europa, l'imam condanna la violenza, ma i fedeli la giustificano. E ci sono pure italiani convertiti all'islam

"I giornalisti di Charlie Hebdo se la sono andata a cercare"

“Fratelli e sorelle: seguiamo questi nobili insegnamenti nella nostra vita quotidiana, in cui ogni atto di violenza è condannabile di per sé. Questo perché il messaggio dell’Islam è un messaggio di pace, concordia, solidarietà e coesione sociale. L’Islam è una religione all’insegna della misericordia, dell’amore e non della violenza”. Mentre Parigi vive ore di assedio, l’Imam della moschea di Roma, la più grande d’Europa, ha concluso con queste parole il sermone del venerdì.

Una condanna ferma della strage di Charlie Hebdo che però sembra non aver fatto breccia nel cuore di tutti i fedeli. Secondo Abdellah Redouane, il segretario generale del Centro Islamico Culturale, “si deve distinguere tra chi non condivide un certo tipo di satira e chi uccide dodici persone. Nessuna vignetta può giustificare un atto di violenza così orrendo anche perché gli atti degli uomini devono essere giudicati solo da Dio e difenderlo non vuol dire sostituirsi a lui nel giudicare gli altri”, ma tra i molti musulmani che hanno partecipato alla preghiera comunitaria c'è chi la pensa diversamente. Medi, un marocchino di 21 anni, che lavora in uno dei tanti chioschi antistanti la moschea, è convinto che si tratti di “qualcosa di più grande di noi” e che tutto dipenda “dalla lotta con l'America”. Per Medi i terroristi “hanno sbagliato a uccidere ma quelli se la sono andata a cercare perché hanno provocato apposta sapendo che ci sarebbe stata una reazione”. “D’altronde – si chiede il giovane marocchino - io non offendo il tuo dio tu perché devo offendere il mio?”. Mohammed, un algerino sui 30 anni, accerchiato dai giornalisti, invita a non fare di tutta un’erba un fascio: “Nel mondo ci sono un miliardo di musulmani e tra questi è ovvio che ci possano essere dei pazzi” ma poi si lascia andare con un paragone alquanto discutibile: “C'è chi viene offeso da una parolaccia e non risponde, chi risponde con un'altra parolaccia e chi, invece, si incazza e normalmente si comporta da pazzo…”

A colpire è anche la presenza di Luca, un ventunenne romano che si è convertito all’Islam dieci anni fa perché affascinato dalla cultura araba e perché ritiene che “nell’Islam vi sia la Verità”. Anche lui abbraccia la tesi del complotto secondo cui questi attentati non abbiano una matrice religiosa ma siano dettati solo “da interessi economici e politici” e sono frutto di “reati legati alla droga e alla prostituzione che per l’Islam sono dei peccati”. Anche Mustafà, un italiano di origine palestinese, si chiede: “Da dove arrivano i soldi per le armi?” e aggiunge: “È chiaro che questi atti di violenza sono manovrati da qualcuno”. In molti sostengono che l’Isis non può essere confuso con l’Islam e invitano a non dimenticare che “in quell'attentato un algerino ha sparato a un altro algerino”.

Da più parti vi è la convinzione però che “l'Italia non sia a rischio perché è un Paese molto più tollerante della Francia o della Gran Bretagna”, come spiega un musulmano moderato, italiano ma di origini tunisine, Nordim che in italiano significa “la luce della religione”.

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