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Inchino di Stato ai sequestratori

L'importante è riportare sempre a casa gli ostaggi, questa volta i pescatori, in una maniera o nell'altra

Inchino di Stato ai sequestratori

L'importante è riportare sempre a casa gli ostaggi, questa volta i pescatori, in una maniera o nell'altra. Però il «blitz» libico del presidente del Consiglio Giuseppe Conte e del ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, più che una vittoria suona come un tributo politico, un riscatto pagato all'uomo ancora forte della Cirenaica. Di fatto il generale Khalifa Haftar ha imposto che il vertice dell'esecutivo italiano ed il responsabile della diplomazia vadano a fargli visita. Le foto dell'incontro mostrano un premier ed un ministro che in termini simbolici vanno a baciare la pantofola al signore della guerra libico. Per Di Maio l'imbarazzo è doppio.

Il sequestro dei pescherecci italiani, la notte del primo settembre, era scattato poche ore dopo la sua visita in Libia. Per la prima volta un ministro degli Esteri italiano, dopo gli incontri a Tripoli, si recava in Cirenaica e snobbava Haftar per vedere il presidente del cosiddetto parlamento di Tobruk, suo rivale politico. Il generale ha richiamato all'ordine il giovane ed inesperto ministro grillino convocandolo nel suo quartier generale di Al-Rajma, fuori Bengasi, assieme a Conte. Il «prezzo» politico, implicito, pagato dall'Italia per liberare i 18 pescatori, oltre a rimettere al centro della scena Haftar discutendo il dossier libico, come annuncia il suo esercito. La scorsa settimana una nave con equipaggio turco è stata rilasciata in 5 giorni dalle stesse milizie, dopo le minacce di Erdogan di usare la forza. Formalmente è bastato pagare una multa e nessun membro del governo turco si è mai sognato di andare a suggellare la liberazione volando da Haftar per discutere di crisi libica. Il generale, mostrando i muscoli, ha dimostrato che può chiamare a rapporto il premier italiano. E, soprattutto, è tornato in auge con il nostro Paese dopo essere stato maldestramente snobbato dal ministro Di Maio. Il trincerarsi dietro l'equidistanza e le posizioni ondivaghe ha permesso ai turchi, che non si fanno problemi ad usare i muscoli, di scalzarci facilmente dalla posizione predominante che avevamo in Libia. Solo un anno e mezzo fa, prima dell'assedio di Tripoli, nessuno, e tantomeno Haftar, si sarebbe sognato di umiliarci con 108 giorni di detenzione dei 18 pescatori. Adesso che è finita con il governo italiano messo sull'attenti dal generale è lecito chiedersi se fosse stato meglio avere una Marina militare meno pavida.

L'Italia, sulla carta, ha la flotta più forte del Mediterraneo schierata nelle missioni davanti alla Libia, ma non siamo stati capaci di lanciare un elicottero, che avrebbe potuto arrivare in tempo e, con un minimo rischio, salvare i pescatori dal sequestro ed evitare con Haftar la solita figura da Italietta.

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