Chiediamolo ai virologi

Bassetti: "Non abbiamo mai abbandonato i malati. Il virus non è devastante"

Il professor Bassetti, intervistato da ilGiornale.it: "C'è stata un'accelerazione inaspettata e quasi improvvisa dei contagi"

Bassetti: "Non abbiamo mai abbandonato i malati. Il virus non è devastante"

"Abbiamo solo pochi minuti, mi dica". Il professor Matteo Bassetti si trova in ospedale, impegnato a curare i suoi pazienti. Lo avevamo contattato un mese fa: lo scenario, all'epoca, era completamente diverso: contagi ridotti al minimo, così come i decessi e gli ospedalizzati. Il virus sembrava battere in ritirata, mentre ora avanza.

Professore, cos'è successo?

C'è stata un'accelerazione abbastanza inaspettata e quasi improvvisa dei contagi e, inevitabilmente, delle ospedalizzazioni, soprattutto in alcune aree. Rispetto a quanto successo la scorsa primavera, oggi c'è una distribuzione più omogenea sul territorio nazionale, anche se in alcune aree c'è una circolazione del virus potenzialmente più importante e frequente di marzo e aprile. Prendiamo Genova: un tampone su quattro è praticamente positivo. C'è una grande circolazione del virus che, inevitabilmente, porta a un numero importante di ospedalizzazioni che, per fortuna, oggi toccano la bassa-media complessità e non la terapia intensiva come accadeva in passato. Non si può sapere cosa succederà domani: se le cose rimarranno stabili o se aumenteranno i ricoveri. Ora però è importante agire.

Come?

Mi è piaciuto molto quello che è stato fatto nel Dpcm e quello che stanno facendo Regioni e Comuni: bisogna intervenire dove la situazione è scappata di mano, senza però uccidere completamente l'economia. Utilizzerei delle limitazioni, che però non chiamerei coprifuoco perché non siamo in guerra. Queste espressioni non fanno bene alle persone che, da nove mesi, stanno vivendo una situazione di ansia e di terrore nei confronti del virus. Usiamo termini soft senza essere soft. E, soprattutto, cerchiamo di ottenere risultati più forti.

A Milano si stanno registrando sempre più casi. Cosa la preoccupa?

Milano è una grande città con 1,4 milioni di abitanti. Una circolazione imponente del virus determinerebbe un'epidemia nella città e un aumento di ricoveri ospedalieri. Si doveva però arrivare a gestire questa epidemia con un'organizzazione diversa. Se è vero che siamo al 93-94% di pauci sintomatici e asintomatici, questi dovrebbero esser gestiti dalla medicina territoriale. È chiaro che se il carico dei poco sintomatici arrivasse in ospedale, il sistema sanitario crollerebbe. Se pensiamo tutto a carico dell'ospedale, allora le strutture saltano per aria.

Ma come è stato possibile questo?

Io ho passato mesi a chiedere di attrezzarci e, soprattutto, a dire alla gente che questa è un'infezione che si può gestire a casa. Non è stato fatto. Si è detto alle persone che questo era un virus devastante, che dà complicazioni e che finiranno tutti intubati e così, non appena qualcuno ha un sintomo, corre in ospedale per farsi curare. Quello che è passato è che noi abbiamo lasciato a casa la gente a morire, ma non è vero. Forse all'inizio ci sono stati dei ritardi, ma non è vero che abbiamo lasciato la gente a morire da sola in casa. Non è mai successo.

Le hanno dato del negazionista. Che cosa risponde?

Non ci voglio più tornare, ho ricevuto attacchi personali, contro la mia persona e la mia famiglia. Nell'ultima settimana una certa stampa mi ha ammazzato. Quando finirà tutto questo, farò le mie riflessioni...

Come usciamo da questa emergenza, dato che l'inverno è ancora lungo?

Dobbiamo continuare come abbiamo fatto: intervenire chirurgicamente dove le cose non funzionano. Facciamo zone a limitata circolazione, divieti di assembramento ma molto mirati. Interventi generalizzati non servono a granché. Il risultato del lockdown c'è stato, ma dobbiamo mettere tutto sulla bilancia. Non possiamo però fare sei/otto mesi con bollettini e racconti di catastrofi. Non credo che questo sia il modo migliore di fare informazioni. Vedremo altri molti decessi nei prossimi mesi, ma dobbiamo ricordarci che ogni anno nel nostro Paese muoiono circa 10mila persone in seguito alle complicanze dell'influenza e altre 17mila persone per complicanze respiratorie. Andare a fare un report di quello che è il problema epidemico attuale non rende. La notizia alla fine è sempre quanti sono i morti e nessuno guarda mai quanti sono i guariti. Questa comunicazione, che parte sempre da ciò che è negativo, non aiuta le coscienze degli italiani. Dopo nove mesi, la gente è in difficoltà.

Soprattutto se non le dai una speranza di uscita.

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