Com'è triste vedere quell'Amaca sospesa sopra la testata di Repubblica! Là sopra si dondola Michele Serra, parlando più con Dio che con gli uomini. La rubrica sta sopra il confine, come fuori dal giornale: non ne è compresa. L'occhio la evita, la ritiene superflua, distante. Letteralmente, incompresa. È come un palloncino che vola nel cielo. Michele Serra non è né serio né ironico, né pungente né ammiccante. È evanescente. È così corretto da passare inosservato. È impossibile parlarne bene, ma è difficile parlarne male. Eppure sta così in alto, come nessuno è mai stato. È il primo caso di un giornalista che sta più sopra della sua testa. Ma ce n'è un altro, il modello insuperabile, che parla veramente con Dio: monsignor Gianfranco Ravasi. Mi pare di averlo visto volteggiare sopra la testata di Avvenire. Ma lì è un'altra cosa. Intanto il nome del giornale, proiettato verso il futuro; poi la dimensione naturalmente metafisica di chi si occupa delle cose di Dio. Un cardinale, ecco. Forse, alla fine della sua carriera, Serra è stato beatificato, o meglio giubilato, come un cardinale laico. È stato messo in alto per non farlo vedere da nessuno.
Voi direte: antichi rancori, vecchie ruggini, incompatibilità caratteriali, vendetta dopo alcune critiche. Niente di tutto questo. Compassione. Dopo tanto tempo che non ne sentivo più parlare, ho affettuosamente pensato che era tenero ricordare Serra. Pensate: lo ha ignorato perfino Asia Argento.
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