Proprio nelle ore in cui sembra stabilizzarsi lo stato d'allerta per il Coronavirus, la politica inizia a muoversi sottotraccia nel tentativo di aprire la strada a un governo di unità nazionale. D'altra parte, gli appelli alla coesione arrivati in questi giorni da quasi tutti i partiti sono stati molto più formali che sostanziali. E la gestione dell'emergenza da parte di Giuseppe Conte non ha certo aiutato. C'è chi gli rinfaccia un'eccessiva sovraesposizione mediatica che avrebbe dato la percezione della catastrofe imminente e chi punta il dito sull'aver pubblicamente scaricato la responsabilità del contagio sull'ospedale di Codogno e sulle Regioni interessate, arrivando a sfiorare lo strappo istituzionale. Insomma, restano intatte tutte le incomprensioni politiche e personali che hanno caratterizzato gli ultimi mesi della legislatura. E dunque non sorprende che un pezzo importante del Parlamento stia ragionando concretamente su come archiviare il Conte 2 e passare a un esecutivo di salute pubblica che possa affrontare l'emergenza e, soprattutto, gli inevitabili contraccolpi economici che arriveranno nei prossimi mesi.
Un'operazione che ieri ha mosso i primi passi dalle buvette di Camera e Senato. Nella prima, mentre Montecitorio discute il decreto che contiene le misure per fronteggiare la crisi sanitaria, è Giancarlo Giorgetti a parlare apertamente di «situazione grave». E a chi gli chiede se sia arrivato il momento di un governo di unità nazionale si guarda bene dal dire di «no». «L'emergenza c'era prima e ci sarà anche dopo il Coronavirus», risponde laconico il numero due della Lega. D'altra parte, che Giorgetti ragioni sulla possibilità di un simile scenario non è certo una novità di questi ultimi giorni. «Purché - ha più volte ripetuto in privato - ci siano le condizioni». Qualche ora prima, invece, ben più schietto era stato Matteo Renzi. Che nella buvette di Palazzo Madama, in compagnia di Maria Elena Boschi e di alcuni senatori, non ci ha girato intorno. «Vista la situazione - spiega ai suoi interlocutori - un esecutivo con dentro tutti, senza distinguo assurdi, è la miglior soluzione possibile. Non per me, ma per il Paese». Insomma, secondo l'ex premier è arrivato il momento di archiviare il governo Conte, che «ha gestito in maniera scomposta» i primi giorni della crisi sanitaria. E questo lo dice in chiaro il senatore di Rignano. «Gli errori di comunicazione hanno prodotto un danno enorme all'estero, oltre che in Italia», scrive nella sua E-news. E ancora: «Stato e Regioni si diano una mano, assurdo litigare in momenti del genere. Io ho rinunciato a discutere con Conte».
Ancora una volta, dunque, Renzi prova a minare le fondamenta stesse di Palazzo Chigi. Perché è del tutto evidente che un governo di unità nazionale presuppone un passo indietro di Conte. Con il quale il rapporto è definitivamente compromesso, come pure è irrecuperabile quello tra il premier e Salvini, che ieri ha scritto una lettera al Quirinale per chiedere un incontro con Mattarella. Non è un caso che il leader della Lega e Renzi si sentano spesso in questi giorni. E che l'ex ministro dell'Interno non consideri impercorribile la via del governissimo. Per il momento si limita a mandare avanti Giorgetti. Ma - anche lui, come l'altro Matteo - pur di archiviare Conte, sarebbe pronto a tutto. La verità, però, è che al momento si tratta ancora di uno scenario futuribile e complesso. Che potrebbe trovare la sponda di Forza Italia (anche con Berlusconi pare che Renzi si sia sentito più d'una volta), ma che non interessa né a Fratelli d'Italia né tantomeno al Pd. I dem, infatti, vedono Renzi come fumo negli occhi. E Dario Franceschini in privato arriva a definire l'ipotesi di un governo di unità nazionale una «gigantesca sciocchezza».
La verità è che solo fra qualche settimana - con un quadro più chiaro dell'emergenza sanitaria e delle ricadute economiche - si potrà capire che margini ci sono per una simile operazione. Che, almeno per il momento, è solo l'ennesimo tentativo di spallata a Conte da parte dei due Mattei.
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