Coronavirus

L'esperto di studi strategici: "Così ci si difende dai virus"

Massimo Amorosi, docente alla Luiss: "A prescindere dall'origine, vanno trattati come minacce alla sicurezza nazionale"

L'esperto di studi strategici: "Così ci si difende dai virus"

Che sia di origine animale o provenga da un laboratorio, il virus va trattato come una minaccia alla sicurezza nazionale. Una tipologia di rischio biologico emergente rispetto al quale un Paese deve dotarsi di un’articolata strategia nazionale di biodifesa. E' quanto sostiene Massimo Amorosi, docente di Studi Strategici alla Luiss ed esperto di biosicurezza e proliferazione di rischi CBRN (acronimo che sta per chimici, biologici, radiologici e nucleari).

Amorosi, sull'origine della pandemia è nata una polemica all'interno del mondo scientifico. Ma è un tema ancora aperto?

“Ritengo che la questione dell’origine del Sars CoV-2 non sia secondaria, bensì fondamentale, poiché questa pandemia impatterà in modi inimmaginabili sugli equilibri geopolitici e geoeconomici globali. Occorre, a questo proposito, distinguere l’apporto assicurato dalla ricerca scientifica da quello delle indagini di epidemic intelligence. La ricerca fa il suo lavoro, ossia generare dati e verificare le ipotesi, possibilmente evitando un’eccessiva esposizione mediatica. Di recente, invece, mi è sembrato di notare il tentativo di mettere oltremodo l’accento sulla rilevanza di talune ricerche a discapito di altre in assenza di consolidati dati scientifici sull’origine. In questo modo non si va lontano”.

Non è stata accertata l’origine animale del virus?

“Ad oggi, sulla base dei dati disponibili, non sono stati identificati il serbatoio animale e l’ospite intermedio del Sars CoV-2. Non vi sono solide evidenze su questo punto”.

Le ricerche sugli animali in laboratorio possono comportare incidenti?

“Certamente, e per questo sono cruciali moduli di training dedicati per il personale. Ma il problema è a monte, come ho avuto modo altrove di spiegare. La realizzazione di laboratori di livello di biocontenimento 4 è spesso fonte di controversia. Basti ricordare che il laboratorio di tipo 4 costruito in Giappone nel 1981 ha operato con patogeni a basso rischio fino a cinque anni fa, quando le problematiche di biosicurezza sono state superate. Lo stesso dicasi riguardo all’espansione della rete di tali laboratori fuori dall’Asia orientale, sollevando anche dubbi sull’effettiva necessità di una loro proliferazione. Il problema della realizzazione di tali laboratori risiede nel fatto che l’iniziativa ricade nella sfera di sovranità di ciascun Paese, compresi quelli emergenti”.

C'è un problema di collaborazioni tra Paesi che non garantiscono la sicurezza necessaria?

“Potrebbero essersi create delle partnership internazionali potenzialmente foriere di rischi, seppure in un quadro di collaborazione tra i Paesi che resta la chiave di volta per la prevenzione e il contrasto di fenomeni pandemici come quello che stiamo affrontando adesso. I rischi sono relativi al trasferimento di know-how per ricerche sensibili e a supporto di Paesi che possono non essere in grado di gestire le strutture dove si trattano microrganismi in condizioni ottimali di biosicurezza. Per questo motivo, non sembra trascurabile accendere i radar su taluni accordi e partnership”.

A quali fattori di rischio allude?

“Le partnership internazionali in un ambito in cui la ricerca è intrinsecamente “dual-use” - ossia in cui i confini fra ciò che è lecito e di beneficio alla salute pubblica e ciò che invece può essere oggetto di progettualità ostili sono porosi - si possono innestare in contesti in cui i modelli organizzativi e le metodologie di management possono costituire oggettivi fattori di rischio in termini di biosicurezza. A riprova che le variabili sociali, ossia quelle riconducibili alla gestione del know-how che risentono di dinamiche contingenti e locali, non sono meno rilevanti dei materiali sensibili e degli equipaggiamenti di laboratorio”.

Quali scenari ci attendono?

“Insisto sul concetto di scenari di bio-insicurezza globale, che richiedono non solo l’elaborazione di piani nazionali di biodifesa rispetto a minacce biologiche emergenti, ossia non tradizionali, a prescindere dalla loro origine naturale (perlopiù zoonotica, ossia trasmissibile dall’animale all’uomo), accidentale o deliberata, ma anche il ricorso ad analisi di contesto negli approcci di prevenzione”.

Un’analisi di contesto come si può realizzare?

“Deve diventare una realtà consolidata l’integrazione dell’expertise tecnico-scientifica - appannaggio ad esempio di specialisti in epidemiologia e sanità pubblica nonché in sanità pubblica veterinaria – con quelle qualificate competenze che possono garantire un’analisi strategica di situazione. Sarebbe in questo caso veramente un radicale cambio di passo rispetto a bio-rischi che verosimilmente saranno sempre più frequenti. Ogni Paese deve essere preparato con largo anticipo ad eventi del genere, che possono verificarsi in qualunque momento. Bisogna comprendere una volta per tutte che le minacce biologiche emergenti non si possono equiparare alla minaccia cyber o far ricomprendere in un’indistinta categoria di “minacce ibride”.

Piuttosto, in ragione della loro specificità e complessità, esigono l’elaborazione e l’attuazione di strategie mirate”.

Commenti