Londra ha lanciato all'Europa un segnale che merita di non essere trascurato. La radicale svolta sull'immigrazione proposta dal governo laburista di Keir Starmer è, infatti, una notizia di prima grandezza. Per la prima volta un governo di sinistra riconosce che l'immigrazione irregolare "sta riducendo a pezzi il Paese" e dispone la più severa riforma del diritto d'asilo dalla Seconda guerra mondiale. Se poi si pensa che il provvedimento chiamato "restaurare l'ordine e il controllo" reca la firma di una ministra pakistana, Shabana Mahmood, si misura per intero la clamorosa novità della "rivoluzione" in atto a Londra. Nel merito, si può essere d'accordo o meno con tutte le norme previste dalla riforma, ma non si può negare che essa colpisce al cuore un mito della cultura della sinistra che si potrebbe definire "l'equivoco dell'accoglienza", il quale, peraltro, ha finito, nel corso del tempo, per contagiare anche settori del popolarismo come, ad esempio, capitò ai governi di Angela Merkel.
Ma in cosa consiste davvero tale "equivoco"? Esso viene da lontano: poggia le sue radici nell'antico complesso di colpa occidentale rispetto al "peccato originale" del colonialismo. Di conseguenza, l'invasione delle nostre terre è apparsa a molti come una giusta rivincita degli oppressi di un tempo. La ciliegina di questa torta culturale è stata poi apposta dalle teorie post-moderne, le quali propagandavano il traguardo del cosiddetto "meticciato culturale". L'identità italiana, europea, occidentale? Roba da antiquariato. A causa di questa lunga sedimentazione ideologica, gran parte della cultura occidentale, in particolare quella di sinistra, ha finito per convincersi che il multiculturalismo, considerato (a ragione) come un destino inevitabile, dovesse però poi trasformarsi in una sorta di "relativismo culturale". Una nostra abdicazione identitaria in favore del pieno dispiegamento delle culture "altre", comunque detentrici di "ragione" nei confronti di quella occidentale, ritenuta, appunto, responsabile di ingiustificabili torti storici, economici, militari e perfino religiosi.
Di qui il "mito" della indiscriminata accoglienza nei confronti di tutti gli immigrati. Persino la paura della criminalità indotta dall'immigrazione che, in tanti quartieri e città, rendeva inquieti i nostri cittadini, è stata spesso etichettata come "razzismo di ritorno". Per la verità, a sinistra, erano già emerse eccezioni a questo mainstream, come quella rappresentata in Italia dal ministro Marco Minniti. Ma le sue "opere" sono state rapidamente archiviate. Fino a che la paura si è trasformata in movimenti di difesa delle identità dei nostri territori e della nostra cultura. Con ovvio beneficio elettorale delle forze di destra, Trump in testa. Ma non si tratta di un fenomeno che parla solo di destra e di sinistra: racconta anche di una più profonda contraddizione della nostra cultura pubblica. La verità è che, negli ultimi decenni, abbiamo coltivato una sola delle due facce del tableau di valori dell'Occidente: l'amore per l'altro: l'esaltazione del dialogo, della tolleranza, del rispetto per le altre culture e religioni. Abbiamo invece colpevolmente trascurato l'altra: l'amore per noi stessi, lo studio e l'affermazione della nostra identità e della nostra storia, la passione per la nostra etica pubblica e per la nostra religione. Ignorando che una faccia senza l'altra non regge. Per il semplice motivo che ogni dialogo pretende di sottolineare il numero "due", pena il suo decadere a monologo.
In altri termini: senza l'amore e il rispetto per se stessi non è possibile alcuna vera integrazione con l'Altro. In realtà, nella storia dei nostri valori, come su un'automobile, troviamo due pedali. Il primo è l'amore: non vogliamo e non dobbiamo odiare nessuno. Il secondo è la legittima difesa dall'odio: non vogliamo e non dobbiamo farci piegare da chi non rispetta ciò in cui crediamo, pur magari vivendo nel nostro Paese. Ebbene, il timbro più autentico della civiltà occidentale consiste proprio nel rispettare tale "dialettica della reciprocità". E nel pretenderne il rispetto.
Ecco perché anche la sinistra italiana dovrebbe prendere molto sul serio la "lezione inglese", abbandonando posizioni ostilmente preconcette contro l'azione del governo e rivedendo il proprio rapporto ideologico con chi è "altro" da noi. "Ama il prossimo tuo come te stesso" ha insegnato Gesù. Se non ha detto "più di te stesso" avrà avuto le sue buone ragioni.