Cronache

Droni degli Emirati e tank turchi: il conflitto (nascosto) in Libia

Turchia da una parte ed Emirati Arabi Uniti dall'altra continuano ad appoggiare rispettivamente Al Sarraj ed Haftar: in Libia arrivano armi e mezzi militari, anche un cessate il fuoco adesso appare lontano

Droni degli Emirati e tank turchi: il conflitto (nascosto) in Libia

La guerra in Libia continua e l’Europa non riesce ad imporre un proprio cessate il fuoco, semplicemente perché i principali sponsor delle parti in lotta vedono il conflitto come l’ultimo fronte di un grande duello tutto interno al mondo musulmano.

Più la battaglia per la presa di Tripoli va avanti, più la fisionomia dello scontro appare come una vera e propria guerra per procura tra le principali potenze regionali. A partire, da quelle che si contendono l’influenza del mondo sunnita: Turchia da una parte e blocco saudita dall’altra, all’interno del quale emergono gli Emirati Arabi Uniti.

Ed in queste settimane attorno alla capitale libica sembra avviarsi una vera e propria guerra nella guerra, quella cioè relativa alle forniture di armi: Ankara ed Abu Dhabi si contendono il primato per la vendita di armamenti di ogni genere alle rispettive fazioni di riferimento, ignorando del tutto l’embargo imposto dall’Onu nel 2011.

La Turchia vende, in particolare, droni alle milizie vicine al governo guidato da Al Serraj, gli Emirati invece donano blindati ed altri mezzi al generale Khalifa Haftar.

Lo stallo in cui versa il fronte a 25 km dal centro di Tripoli, invece che spingere le parti ad un cessate il fuoco sta generando un aumento dell’intensità del conflitto come dimostra anche il recente caso relativo al bombardamento del centro per i migranti di Tajoura.

Questo perché sia Turchia che Emirati hanno tutto l’interesse ad armare le rispettive parti appoggiate. A Tripoli nelle ultime settimane è un via vai di aerei cargo che da Istanbul od Ankara trasportano nuovo materiale per Al Sarraj. Stesso discorso si può dire lungo l’asse Abu Dhabi – Bengasi, lì dove gli Emirati hanno nelle vicinanze una base in cui si coordinano con l’esercito di Haftar.

Sul piatto non c’è soltanto la contesa sulla Libia ma, più ingenerale, l’influenza del mondo sunnita: la Turchia, assieme al Qatar, appoggia i Fratelli Musulmani mentre dall’altro lato il blocco saudita è acerrimo nemico della fratellanza. Se Al Sarraj ha nel suo governo diversi esponenti dei Fratelli Musulmani, Haftar viene invece visto come l’unico affidabile baluardo contro il terrorismo ed ogni genere di islamismo, anche politico. Per questo viene quindi appoggiato dall’Egitto, il cui presidente Al Sisi dichiara la fratellanza fuorilegge, e quindi da Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti.

Avere il predominio sulla Libia vuol dire anche mettere le mani su un paese molto ricco di risorse. Già ai tempi di Gheddafi, la Turchia vanta investimenti miliardari in infrastrutture e rapporti sotto il profilo economico con molte aziende libiche. Una circostanza che fa di Ankara un attore importante in Libia, oltre che ramificato e questo è un altro elemento che depone a favore di un’alleanza con Al Sarraj.

Miliardi ed investimenti che fanno gola anche ad Abu Dhabi ed a Riad. Ma non solo: avere la Libia significa avere quei porti che si affacciano dritti sul Mediterraneo centrale. E se gli Emirati con gli scali libici vogliono certificare la propria presenza nel Mare Nostrum, i turchi invece guardano con molto interesse alla loro strategia nel Mediterraneo orientale, che vede Ankara sempre più propensa a sfruttare, anche con il controllo di Cipro del nord, le risorse energetiche scoperte di recente in questa macro area.

Conflitto per l’influenza del mondo sunnita dunque, ma anche interessi relativi alle risorse petrolifere libiche ed alla posizione geografica del paese nordafricano: difficilmente vedremo, nel breve termine, turchi ed emiratini provare a lavorare per una diminuzione almeno delle rispettive forniture di armi.

E questo significa dunque vedere quasi come un miraggio il cessate il fuoco.

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