Cronache

Silvia, l'imam Pallavicini "L'abito? Come le suore"

L'imam Yahya Pallavacini non ha motivi di dubitare sulla conversione di Silvia Romano. Ma il giudizio sugli estremisti somali è netto e senza appelli

Silvia, l'imam Pallavicini "L'abito? Come le suore"

L'imam Yahya Pallavacini, vicepresidente della Co.Re.Is. ha appena firmato il protocollo che consentirà anche ai musulmani che risiedono in Italia di poter partecipare ai riti religiosi dopo il blocco dovuto alla pandemia da Sars-Cov2, ma l'imam Pallavacini è anche uno degli esponenti di vertice del mondo islamico del Belpaese. L'imam ha parlato del caso di Silvia Romano, che è tornata convertita dopo essere stata rapita dai criminali di Al Shabaab. Mentre da più punti di vista ci si interroga su molti aspetti di questa vicenda, l'imam Pallavicini, che opera presso la Moschea al-Wahid di Milano, ha già dichiarato la sua disponibilità ad incontrare la giovane italiana. L'adesione della Romano alla religiose musulmana, del resto, è un tema che continua a far discutere. Ma per ora la ragazza non ha avanzato alcuna richiesta di incontrare l'imam del capoluogo lombardo.

Imam Pallavicini, conversione di Silvia Romano è una conversione consapevole? Oppure è legittimo sollevare un dubbio sulla consapevolezza?

"Non lo so. Non ho ragione di dubitare. Posso dire che bisogna prendere in considerazione una situazione eccezionale. Io spero che sia un'eccezione che conferma la regola. Non ho ragioni di dubitare sulla sua consapevolezza. Di sicuro, una giovane donna che viene rapita da criminali per un anno e mezzo non vive una situazione di normalità per gestire la sua consapevolezza. Ma non ho motivo di dubitare sul fatto che Silvia Aisha Romano abbia mantenuto una piena coscienza e una capacità d'intendere, capire, studiare e reagire secondo istinti, decisioni o sensazioni oneste anche se vissute in questo contesto così difficile. Non farei mai un processo alla cieca. Mi sembra scorretto".

Nella narrativa di tutta questa storia, manca una ferma condanna diretta ai rapitori?

"Da parte di chi?"

In generale: partendo dalla ragazza, che magari è sotto choc...

"Dovrebbe bastare la parola "rapitori", almeno per me, per affermare che sono dei criminali che non hanno alcun senso del rispetto della vita. Fanno del commercio e della mercificazione degli ostaggi il loro basso guadagno. In più, il gruppo Al Shabaab, unisce a questa criminalità - che è consueta a tutti i rapitori - anche la strumentalizzazione e la manipolazione di una dottrina religiosa di cui misconoscono totalmente il significato autentico, per una guerriglia di potere di una violenza inaudita. Oltre ai rapimenti, ci sono omicidi e quant'altro. Il rischio è che si confondano i piani: l'intenzione di una persona onesta per una conversione all'islam non può essere confusa con la brutalità di criminali che non sono soltanto rapitori, ma anche dei rivoluzionari anti-sistema in Somalia e nella regione. Per quanto riguarda Al Shabaab, se uno non sapesse chi sono, basta il termine "rapitori" per condannarli senza dubbi. Forse ci siamo dimenticati che anche l'Italia ha vissuto episodi di rapimenti ed estorsioni drammatici".

C'è un dibattito partecipato attorno alla veste verde di Silvia Aisha Romano. Che abito è quello scelto dalla giovane?

"Quello è uno dei modelli di velo tradizionale che le donne osservanti musulmane indossano. Si tratta di un abito molto simile a quelle delle suore cattoliche e delle donne fedeli indù che lo vestono però in maniera differente. Poi, se lei mi chiede su che base la giovane Silvia Aisha Romano abbia scelto quel modello, quel colore, e quel velo prima di partire dalla Somalia , ecco io questo francamente non lo so. Non voglio giudicare una persona dal modello o colore o misura di un abito. Esistono donne pie che non indossano il velo ed esistono donne che mettono il velo senza sensibilità per la religione. La casistica è varia".

Imam Pallavacini, lei ha letto la lettera della Ismail sul caso...

"Maryan Ismail è una persona competente per natura, famiglia e militanza sullo scenario specifico della Somalia, su quello delle donne e dei casi drammatici che capitano in quel Paese, così come casi capitano purtroppo anche in altre Regioni. Posso solo rispettare la sua valutazione ed il suo messaggio. Ma lei allarga il discorso a qualcosa che non appartiene al mio campo: io mi occupo di Islam in Occidente. A me interessano la dimensione teologica, quella relativa alla onestà intellettuale e quella al dialogo interreligioso. Cerco di occuparmi di quello che succede in Italia e in Europa per salvaguardare i musulmani da qualsiasi tipo di degenerazione o discriminazione. Se Maryan Ismail incontrasse Silvia Romano, probabilmente parlerebbero di Somalia. Se io incontrassi Silvia Romano, probabilmente parleremmo di Corano e di religione".

Lei ha dichiarato la disponibilità ad incontrare la Romano. Ci sono state aperture?

"Non ho avuto riscontri. La Moschea è chiusa. Ieri abbiamo firmato con il premier Conte ed il ministro Lamorgese il protocollo per la riapertura graduale. Che io sappia ad oggi non ci sono stati tentativi di avvicinamento per incontrarmi. Io resto curioso di conoscere una giovane italiana, milanese, che ha una sensibilità umanitaria per il popolo somalo, che forse, almeno secondo me, ha commesso qualche ingenuità e che le circostanze hanno tradito, tanto da renderla vittima di un rapimento dal quale, grazie a Dio, è uscita viva e sana, tornando in Italia".

In Occidente è abbastanza percepibile un vuoto di senso che contraddistingue soprattutto alcune fasce generazionali. Un elemento che facilità le conversioni all'islam?

"Sì, decisamente. Può facilitare le conversioni a prescindere dalla forma della religione incontrata. La cosa importante per me è che sia una conversione alla religione ed alla ricerca della verità. Poi, questa religione può essere l'islam, la religione di nascita o ancora un'altra situazione. Ma io resto convinto che la fede, con la ragione, dà il senso alla vita, fornendo prospettive di metodo per trovare delle risposte e trovare il un modo di vivere attraverso delle coordinate serie e profonde. L'importante è che non si sposi una religione come un partito, di un vestito o di un'ideologia. La religione è un mezzo di scienza sacra, è un habitus, non un pezzo di stoffa alla moda dell’anima del momento ".

Imam Pallavicini, Silvia ha deciso di chiamarsi Aisha. Non è un nome a caso. Ma la giovane ha solo 24 anni: magari potrebbero averle consigliato quel nome?

"Si tratta di un nome molto comune e molto significativo tra i nomi femminili anche della storia, della famiglia e degli inizi dell'islam. Può essere stato suggerito. Ma il fatto che possa essere stato suggerito non toglie che lei ne abbia adottato il valore, il suono e la sintonia con la figura. Questo di Silvia Romano è uno scenario complesso, perché eccezionale. Provo ad allargare il campo: se vogliamo cavalcare la narrativa secondo cui il nome le sarebbe stato imposto, la conversione sarebbe stata minacciata e che la scelta dell'abito sia stata oggetto di trattativa per la sua liberazione, ecco, allora le dico che a me queste possibilità sembrano corrispondere di più a delle illazioni. Le persone che si interessano di dietrologie cavalcano queste fantasie. Può darsi che possano dimostrarsi in futuro anche veritiere, ma io non ho un interesse né di confermarle né di smentirle.

Non partecipo alla occulta ricerca di un capro espiatorio per demonizzare una persona solo perché è diventa musulmana".

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