Elezioni politiche 2022

L'isola che non c'è

Se c'è una pratica in cui il Pd è imbattibile è quella che si occupa della rimozione di una sconfitta

L'isola che non c'è

Se c'è una pratica in cui il Pd è imbattibile è quella che si occupa della rimozione di una sconfitta. L'insuccesso di domenica scorsa è stato una mezza Caporetto perché dimostra che quel partito non ha un'identità, una visione, una prospettiva: dieci anni trascorsi al governo senza vincere un'elezione ne hanno aumentato l'istinto nella caccia alle poltrone ma ne hanno appannato la capacità di comprendere ciò che si muove nella società. Il centrodestra ha almeno una sua identità, un suo popolo, tant'è che i suoi elettori cambiano partito, vanno dalla Lega a Fratelli d'Italia, ma non traslocano in un altro schieramento.

In questa sinistra, e specie nel Pd, invece, non è più così. Il popolo di un tempo si è disperso, è finito nell'astensione o, addirittura, in soggetti politici che trovano la loro identità proprio nell'essere una cosa diversa dal Pd (Calenda e Renzi). È un problema profondo che pretenderebbe una rigenerazione, una rifondazione politica, culturale, persino valoriale, invece nel dibattito del Pd tutto si riduce alla questione delle alleanze contro un nemico - una volta era Berlusconi, poi è venuta la volta di Salvini e adesso la Meloni - con un unico scopo: quello di riacciuffare il Potere.

Per cui già si sentono gli echi di quel congresso in cui il partito si dividerà tra i fan dell'accordo con i grillini e quelli che non ne vogliono più sapere. Un surrogato di dibattito che rischia di svolgersi su un miraggio, sul desiderio di approdare su un'isola che non c'è. Il colpo di reni con cui Giuseppe Conte, consapevole o meno, ha rivitalizzato i 5stelle, infatti, è stato quello di riscoprirne l'autonomia e, di converso, la trasversalità. Tradotto significa che i 5stelle non puoi inserirli in una coalizione di sinistra o di destra perché perdono peso elettorale, o, in subordine, in quell'alleanza possono stare solo se possono marcarne il profilo, ovvero debbono esserne egemoni.

La trasversalità e l'autonomia, come sapeva bene Casaleggio senior, è scritta nel Dna del movimento. Le elezioni di domenica lo hanno dimostrato in maniera clamorosa: Luigi Di Maio, il vero padre del reddito di cittadinanza, in coalizione con il Pd non è stato neppure eletto; Giuseppe Conte, invece, fuori da ogni intesa e in forte polemica con Letta, ha fatto risalire la china dei consensi ai 5stelle. Del resto come possono i grillini, nati nell'area anarchica dell'anti-sistema, che rimembrano anche quando sono al governo con i risultati che sappiamo, andare a braccetto con il Pd, cioè con il partito che negli ultimi dieci anni l'immaginario collettivo ha identificato con il sistema stesso? Come possono gli elettori di Scampia, dove i 5stelle hanno sfiorato il 65%, accettare che Conte si allei con Letta o con qualunque altro segretario di quel partito?

Ecco perché la crisi della sinistra pretende ben altro, sicuramente molto più della scorciatoia di un congresso che si occupi della scelta dell'alleato di turno.

Specie se, a guardar bene, quella scorciatoia non porta da nessuna parte.

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