«Credo che ogni imprenditore italiano abbia temuto e tema di finire in una trappola micidiale come è accaduto a me. Una trappola complessa e di difficile interpretazione perché nel corso del quotidiano, normale e corretto operare, le sue azioni, le sue parole, i suoi incontri e legami professionali possono essere male interpretati da concorrenti, nemici, Magistratura». Alfredo Romeo, l'imprenditore uscito completamente assolto in Cassazione «perché il fatto non sussiste» dopo sei anni di processo per la vicenda definita «Global Service» - e che è stato mediatico prima ancora che dibattimentale, con l'abissale differenza di velocità tra lo scandalismo feroce della stampa e la lentezza della giustizia, segnalata tra l'altro dal sociologo Domenico De Masi - parla con il Giornale .
E in questa lunga intervista Romeo lancia una vera sfida dialettica, una proposta di dibattito pubblico e aperto che, proprio prendendo le mosse dalle vicende di cronaca che lo hanno riguardato, vada però oltre i fatti a lui strettamente legati, per ragionare di come diversamente si possa e si debba guardare ai rapporti di lavoro pubblico-privati: «La mia personale vicenda - tiene a sottolineare Romeo - è indicativa di questo clima in cui lavorare serenamente diventa difficile per una doppia ragione di assoluta banalità: la mancanza di regole certe da una parte, e l'arcaicità della normativa vigente dall'altra. Si tratta di due aspetti della stessa questione che creano un nodo di enorme difficoltà interpretativa e il rischio di una costante paralisi nei rapporti tra aziende private e pubblica amministrazione».
Avvocato, ma non è possibile attendersi dalla Pubblica amministrazione un atteggiamento che non sia di separatezza, quando non diffidente, nelle relazioni con le aziende con cui interloquisce.
«La riflessione da cui si deve partire - per comprendere l'importanza di questo vulnus costantemente diretto all'economia del Paese - è che sempre di più è proprio questo il fronte economico su cui si può fare leva per rilanciare l'economia italiana attraverso un volano di attività che passa per la riqualificazione urbana e la valorizzazione dei territori interessati. La premessa è banale, ma avere il coraggio di dire cose ovvie a volte serve a capire per tempo qual è la posta in gioco. Lo Stato, e a cascata gli Enti locali, non hanno più risorse per garantire i servizi minimi necessari alla qualità della vita delle città degne di appartenere a un Occidente evoluto. E mancano anche le idee».
Qual è la proposta, la riflessione o la sfida che lancia Romeo che - qui va ricordato - è uno dei principali player europei sul fronte dell'innovazione per i rapporti con la Pubblica amministrazione? Un quadro evidente e drammatico, ma la proposta in che cosa consiste?
«Solo una sorta di piano Marshall per la rigenerazione urbanistica e dei servizi, può dare ossigeno alle Amministrazioni. Ma per qualificare questo disegno strategico nel Paese e renderlo operativo nel più ampio raggio, occorre che il rapporto di partnership pubblico-privata per l'erogazione di servizi integrati alle città venga riorganizzato in base a regole di modernizzazione e di trasparenza, di garanzia per il cittadino ma anche per le imprese e per l'imprenditore. Perché solo questo processo può spingere il privato a investire in un rapporto professionale che non può essere più condizionato dai ritardi della burocrazia (dalle autorizzazioni ai pagamenti), e dall'ombra costante di un impeachment che può venire dalla Magistratura che ha gioco interpretativo nelle maglie di una normativa, come si diceva, arcaica».
Ma le risorse? I soldi per operare? Ci sta dicendo che queste risorse si trovano «per strada»?
«Sembra un paradosso ma è proprio così. È un tesoro diversificato, che non è fatto solo di potenziali dismissioni e valorizzazioni, ma anche di una nuova e più moderna amministrazione del territorio che non può più essere affidata alle inadempienze delle Pubbliche amministrazioni. E che invece può modernizzarsi in un circuito virtuoso di dialogo, confronto e progettualità, attivato in sintonia e collaborazione con le cittadinanze interessate con la loro contribuzione».
Qual è dunque l'ostacolo o l'opposizione a quel che sembra l'uovo di Colombo?
«Banalmente (ancora una volta) la resistenza ad avviare un processo di innovazione che è urgente e imperativo per il Paese. E che passa per alcuni capisaldi. Il primo: quando si parla di innovazione, di bisogni dei cittadini e di servizi alle comunità che essi compongono, bisogna rivedere il principio ottocentesco, ma ancora dirimente, della separatezza tra Stato e Cittadino, per il quale se io parlo con un amministratore posso essere accusato della qualunque e, come minimo, di turbativa d'asta. Secondo: bisogna riformare profondamente la Pubblica amministrazione incardinandola a regole certe e precise, fondate sulla capacità di proposizione e non più sul potere della negazione e dei veti. E, in più, formando una nuova classe di funzionari competenti, capaci e motivati dal risultato di interesse collettivo. Con questi passaggi, torneranno ad aver peso il valore della capacità e dell'etica soggettiva; le imprese saranno obbligate a stare sul mercato correttamente migliorando le loro performances; e con una Pa che si evolve responsabilmente con la società, si riduce il rischio di corruzioni e concussioni».
Un disegno epocale, con una Magistratura che può continuare a fare da arbitro. Lei proprio per queste «incomprensioni» ha dovuto affrontare, e ha appena chiuso, un braccio di ferro impegnativo con il nostro sistema giudiziario.
«Appunto. Ma prima di tornare - anche solo per un attimo - alla mia vicenda personale che, però, vorrei emblematicamente dedicare a tutta la classe imprenditoriale italiana, io mi levo tanto di cappello di fronte al nostro sistema giudiziario che ha saputo produrre un esito di giustizia giusta, vera, vicina al cittadino e non solo tecnica. E mi spiego. Tutto l'impianto accusatorio (articolato su ben 22 ipotesi di reato, tutte azzerate perché il fatto non sussiste, e ciò nonostante che mi ha visto descritto come colpevole nei titoli per 978 volte contro una decina di titoli dedicati al Romeo innocente) era basato su alcune intercettazioni male interpretate da chi ascoltava. Nessuno, infatti, si è posto all'epoca - e ancora si pone - le domande essenziali (e torno al punto precedente) per modernizzare il Paese: È legittimo o no che Impresa e Amministrazione dialoghino per costruire il futuro?. E di più: È pensabile che ancora oggi l'interlocuzione pubblico-privata debba essere circoscritta a norme asettiche che non hanno flessibilità in funzione del territorio delle sue specifiche, delle sue necessità, delle sue risorse, delle esigenze della popolazione che in quel territorio vive cresce si sviluppa?. E infine, è accettabile mai che la progettazione di un percorso di evoluzione e sviluppo del territorio non debba passare per una concertazione - trasparente e garantita e controllata - tra le parti?».
Avvocato, ma questo è un «manifesto» per dare nuovi indirizzi ai rapporti pubblico-privati
«Forse. Ma solo se si daranno risposte a questi quesiti, se si daranno indirizzi a queste prospettive, se si imparerà a dialogare senza pregiudizi tra lupi cattivi e Amministrazioni nell'interesse più alto della collettività in una visione prospettica e strategica degli interessi di tutte le parti, si rimetteranno in circolo risorse importanti, si attiveranno importanti volani economici, si faranno cose senza ritardi e appropriazioni, si alimenterà una cultura operosa non più frenata dalla burocrazia. Si offriranno servizi al cittadino, si darà senso e valore ai costi tributari che oggi vengono subìti dai cittadini come mere gabelle. E con altissima probabilità non si metteranno in tritacarne mediatici persone e aziende.
E il Paese - questa Italia così malata di incapacità, settarismi, anticaglie procedurali, pregiudizi e burocrazia - potrà riprendere a marciare scoprendo, magari, che i lupi cattivi possono essere anche i motori dello sviluppo».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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