Coronavirus

"In Lombardia il coronavirus ha fatto la mietitura"

Commentando i dati della Lombardia, l’epidemiologo Vittorio Demicheli ha spiegato che il virus potrebbe aver consumato il bacino dove poteva fare più danni e, per questo, ora si presenti con letalità contenuta

"In Lombardia il coronavirus ha fatto la mietitura"

Ieri per la prima volta dopo tre mesi in Lombardia non si sono registrati decessi dovuti al coronavirus.

Un segnale di speranza, questo, che indica come sia davvero vicina la fine della devastante ondata epidemica che in Italia ha causato oltre 32mila morti. Un dato importante che segue l'andamento registrato nelle ultime settimane. Ma la cautela è d’obbligo, anche perché è prevedibile che nelle prossime giornate il numero di persone che perderanno la vita per l’infezione possa tornare a salire. Gli esperti stanno ragionando su questo "zero", auspicato sì ma del tutto inatteso in questo periodo, registrato ieri. Il coronavirus in Lombardia forse è divenuto meno letale? Questa ipotesi viene subito scartata.

Vittorio Demicheli, epidemiologo alla guida della task force della Regione e direttore sanitario dell’Ats di Milano, al Corriere della Sera ha spiegato che al momento "non si hanno certezze" che il coronavirus Sars-CoV-2 sia diventato più "buono". Il fatto che i flussi provenienti dalla rete ospedaliera della Lombardia e dalle anagrafi territoriali non hanno segnalato decessi, anche se restano da fare verifiche coi Comuni per Demicheli sono un segnale chiaro: "Non ci sarebbe troppo da sorprendersi. Man mano che l'epidemia anche in Lombardia retrocede, si ragiona su numeri sempre più piccoli. Il dato dei decessi rispecchia l'andamento anche se indica sempre storie cliniche iniziate qualche settimana prima. E una conseguenza anche del dato che emerge dalle terapie intensive".

A spiegare quello "zero" prveniente dalla Lombardia, in realtà, ci sarebbe un fenomeno che gli inglesi chiamano harvesting e che, al di là della freddezza dei numeri, resta conunque un fattore drammatico. Il virus, ha spiegato l’epidemiologo, "ha accelerato il percorso clinico di persone fragili, in molti casi con altre patologie. Può essere che ora abbia consumato il bacino dove poteva fare più danni e si presenti con letalità contenuta". In pratica, il temibile microrganismo ha compiuto la cosiddetta "mietitura".

"A morire- ha continuato l’esperto- sono quasi sempre i malati più gravi che spesso erano intubati. Se il numero nelle ultime settimane è sceso da oltre 1.300 ai 197 di ieri significa che sono molte meno anche le persone con un quadro clinico compromesso". Demicheli sottolinea che i dati vanno letti nel loro complesso e, pertanto, "se è vero che c'è ancora gente che entra in terapia intensiva, questi malati sono pochissimi. In alcuni casi sono pazienti già ricoverati che necessitano di sostegno respiratorio". I nuovi positivi, secondo l’esperto, sono frutto degli screening di massa su operatori e personale delle Rsa e dei test seriologici. Ma, assicura l’epidemiologo, la curva di chiamate al 118 è tornata a numeri pre-Covid. Il timore, però, è che con il ritorno alla vita di prima ci possa essere una ripresa del contagio. "La prima riapertura del 4 maggio sembra assorbita. Se il trend dovesse continuare ad essere questo in un paio di settimane potremmo arrivare a numeri minimi", ha concluso Demicheli.

Da tempo la comunità scientifica sta discutendo sulla possibilità che il virus sia mutando e che, in qualche modo, stia perdendo la sua “forza” diventando meno aggressivo e pericoloso. Per il momento non ci sono certezze. Tra chi esclude questa possibilità vi è il presidente dell'Istituto superiore di sanità Silvio Brusaferro: "Non ci sono elementi per poter dire che il virus è mutato. E' un'ipotesi che va studiata, ma ad oggi non è sostenuta da un'evidenza scientifica". Dello stesso parere è Walter Ricciardi, consigliere del ministro della Salute per l'emergenza Covid-19, che in una intervista all'Adnkronos Salute aveva affermato: "Dal punto di vista microbiologico ed epidemiologico, il virus è sempre lo stesso".

Posizione sostanzialmente simile era stata espressa da Enrico Bucci, ricercatore in Biochimica e Biologia molecolare e professore alla Temple University di Philadelphia che nei giorni scorsi in un post sul blog "Cattivi scienziati" aveva sostenuto che il coronavirus "può certo mutare, ma il cambiamento della composizione della popolazione ospedaliera non è evidenza sufficiente di alcuna mutazione".

Altri esperti, invece, sono su posizioni opposte. Matteo Bassetti, direttore della Clinica di Malattie infettive del Policlinico San Martino di Genova, da circa un mese sostiene che il virus non ha la stessa aggressività. All'Adnkronos Salute l’esperto aveva spiegato che"i numeri si sono ridotti, arrivano meno casi gravi. La mia sensazione di pancia, di chi ha visto il virus in faccia e non è stato dietro una scrivania, è che questo virus ha perso la forza iniziale. Non c'è ancora nessuna dimostrazione scientifica, è solo l'osservazione di chi lavora in reparto. Io non ricovero più un paziente in terapia intensiva, che arriva dal pronto soccorso, da 3-4 settimane. È calato drasticamente il numero dei soggetti che arrivano in ospedale, anche da fuori, con la necessità di essere intubati".

Sulla stessa scia vi è Giuseppe Remuzzi, direttore dell'Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri Irccs, che in in intervento televisivo aveva sottolineato: "Io vedo questi malati che non sono più quelli di prima. E questa non è una cosa piccola, ma è una cosa grande che fa impressione. Adesso stiamo facendo degli studi e non troviamo gli ammalati per fare gli studi, è una cosa bellissima". Ovviamente, aggiunge, "siamo prudentissimi, perché può darsi benissimo che ci sia una seconda ondata". Ma per Remuzzi "le persone contagiate oggi stanno decisamente meglio rispetto a quelle infettate due mesi fa". Lo scienziato ammette di non poter affermare con sicurezza se il virus sia mutato o se a essere cambiata è la carica virale di ogni paziente ma "sembra di essere di fronte a una malattia molto diversa da quella che ha messo in crisi le nostre strutture".

Più specifico il pensiero di Massimo Ciccozzi, responsabile dell'Unità di Statistica medica ed Epidemiologia molecolare dell'Università Campus Bio-Medico. "Il coronavirus muta perché, da virus, è il suo lavoro quello di mutare e parassitare l'ospite per adattarsi a lui. Abbiamo pubblicato numerose ricerche, firmate dal mio e da altri gruppi, che evidenziano delle mutazioni del virus. Ma la prova per dire che queste mutazioni lo rendano meno aggressivo ancora non c'è", ha detto lo scienziato all'Adnkronos Salute. L’esperto, però, rimarca il fatto che dai dati dei ricoveri e delle terapie intensive allora si ha l’idea che "la malattia stia diventando meno grave. Ebbene, penso che il lockdown e le mutazioni abbiamo lavorato a nostro favore, contrastando la circolazione di Sars-CoV-2 e favorendo il suo 'adattamento' all'ospite".

Di certezze, quindi, al momento non ve ne sono.

Per questo è necessario non abbassare la guardia così da evitare una possibile seconda ondata di casi sia in Lombardia che nel resto d’Italia.

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