L'opposizione in piazza per Gaza impoverisce il ruolo dell'Italia

È del tutto evidente come settori della politica, della cultura e dell'informazione in varie parti del mondo stiano utilizzando la tragedia di Gaza per abbattere la barriera dell'antisemitismo

L'opposizione in piazza per Gaza impoverisce il ruolo dell'Italia
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Mentre aumenta in modo non più tollerabile il numero di vittime innocenti a Gaza, da noi Partito democratico, M5s e Avs hanno deciso di svolgere una manifestazione pro Gaza il prossimo 7 giugno. Ma tenere oggi in Italia una simile iniziativa è davvero utile al fine di far cessare gli attacchi su Gaza? Senza mettere in discussione la sincera volontà di quanti, e credo siano tanti, sentono il bisogno di urlare la propria contrarietà a quelle azioni di guerra, al blocco delle forniture alimentari e di quelle sanitarie inviate a Gaza anche dall'Italia e la cui regolare distribuzione è cinicamente contrastata, varrebbe la pena riflettere sulla opportunità in questo momento di una simile manifestazione.

Se una forte reazione israeliana al Pogrom del 7 ottobre era prevedibile e anche legittima non c'è dubbio che stia assumendo ormai da mesi una dimensione decisamente sproporzionata. Essa continua a mietere vittime innocenti la cui entità non è sopportabile e dunque appare assolutamente urgente un salto di qualità nell'iniziativa politico-diplomatica che possa fermare quello sterminio. Ma scegliere oggi la piazza, nelle condizioni date e con le caratteristiche e i contenuti di cui si sta parlando, non credo favorisca quel salto di qualità, semmai rischia di produrre un effetto esattamente opposto agli obiettivi che si dichiara di voler raggiungere.

È del tutto evidente come settori della politica, della cultura e dell'informazione in varie parti del mondo stiano utilizzando la tragedia di Gaza per abbattere la barriera dell'antisemitismo. Addirittura in alcuni casi omologando ciò che sta accadendo a Gaza con gli stermini di cui si rese protagonista il nazismo. Le critiche alla condotta del governo israeliano si sono via via confuse sempre più con la campagna che in realtà tende ad aumentare l'isolamento e l'assedio del popolo e dello Stato di Israele. A ciò si aggiunga che in alcuni Paesi, tra i quali anche il nostro, la vicenda di Gaza è utilizzata spregiudicatamente e spesso impropriamente per alimentare lo scontro politico interno. E del resto il molto rumoroso dibattito parlamentare di qualche giorno fa preceduto da tanti colpevoli silenzi, lo ha palesemente confermato. Dopo lo sterminio del 7 ottobre infatti non c'è stata una sola manifestazione di massa solidale con Israele, né si è scesi in piazza per chiedere la liberazione degli ostaggi, e da ultimo non mi pare che molti di quanti oggi si dichiarano pronti a manifestare abbiano speso una sola parola a sostegno dei palestinesi che stanno coraggiosamente contestando Hamas e ne denunciano le criminali responsabilità. Sono queste le premesse concrete su cui si innesterebbe la manifestazione del 7 Giugno.

In realtà solo una grande unità della politica e delle istituzioni ben oltre i confini che separano maggioranza e opposizione e che coinvolga larghi strati della società civile restituirebbe credibilità a una manifestazione contro quei massacri e per la pace. E soprattutto potrebbe davvero incidere a sostegno di una adeguata iniziativa che possa fermare quelle stragi dando ancora più peso all'impegno del nostro Paese. Non si tratta dunque di restare fermi a guardare, tutt'altro. Sia i più autorevoli esponenti del governo che i settori più responsabili dell'opposizione hanno espresso con chiarezza posizioni che renderebbero possibile non solo una comune condanna delle morti a Gaza ma consentirebbe all'Italia di muoversi con maggiore forza per sollecitare e sostenere una adeguata iniziativa politico-diplomatica internazionale.

A questo proposito varrebbe la pena guardare con molta attenzione alla strategia Vaticana, con Sua Santità Leone XIV che ha richiamato in ogni suo discorso la terribile situazione di Gaza e contestualmente è impegnato a recuperare un rapporto con il mondo ebraico. Così delineando contatti di tipo diverso e più ampio tra la Santa Sede e il mondo ebraico che possono avere non solo una rilevanza religiosa ma anche una importante funzione diplomatica. Senza confondere i ruoli, una sintonia tra la strategia del nuovo pontificato e quella delle istituzioni laiche può rivelarsi molto proficua non solo per provare a fermare quella strage ma anche per perseguire nel medio-lungo periodo gli sforzi di pace nell'area.

Questo sarebbe forse il percorso ottimale per giungere poi, a tempo debito, anche ad una grande

mobilitazione che sia unitaria e davvero utile. O pensare che su aspetti della politica estera oggi realizzare una grande unità del Paese, nel solco peraltro delle migliori tradizioni della storia politica italiana, sia solo utopia?

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