Non eravamo più abituati a tutta questa fragilità, al timore che l'inatteso, l'imprevedibile ti si presenta davanti senza neppure uno straccio di cartello stradale del tipo «caduta massi» e tu non puoi fare nulla, se non pregare o giocare a dadi con la sorte. La vita ti si presenta per quello che è: incerta, imponderabile, con la sfortuna che pesca a caso nel mucchio anche se fai tutto quello che devi fare: non parli al telefono mentre guidi, vai piano, non bevi, controlli le gomme, non sorpassi a destra e ti fermi se sei stanco, come consiglia il display luminoso sull'autostrada. La morte ti spunta davanti. È quello che forse sentivano le generazioni dei primi cinquant'anni del Novecento, la nera signora che ti cammina al fianco e segna il passo con un tapum tapum tapum. Solo che allora c'era la guerra, il Carso, l'Africa, la Grecia, l'Albania, la Russia, Cassino e le bombe a San Lorenzo. Se sopravvivevi a tutto questo si moriva di parto, di tifo, di febbre spagnola e senza penicillina.
Tempi peggiori di adesso. Qualcuno dirà che ci siamo abituati male o forse abbiamo pensato, magari sbagliando, di poterci fidare. Di cosa? Della quotidianità. È questo in fondo il punto. La mattina prendi l'auto e vai al lavoro, fai la solita strada di sempre, giri qua, sali, passi al casello con il bancomat o il telepass per ingannare la fila, tutto tranquillo, tutto normale, tutto scontato, poi passi su quel ponte che sta lì da una vita e non sai, perché non è che te lo dicono chiaro e diretto, che da tempo sta cedendo. È un ponte a rischio e in una giorno di mezz'estate è caduto giù. Come se fosse una cosa che può tranquillamente accadere, come una malattia, come un terremoto, come un'acqua nera di malasorte che ammazza e passa oltre. Chi resta allora si chiede se con questa cosa ci si deve fare i conti. Non ti puoi più fidare. Non puoi più dare per scontato che i ponti, qualsiasi ponte, non cada giù e lo stesso vale per le strade, per i binari, per le gallerie, per le metropolitane, per i palazzi.
Devi sapere che quando passi sulle costruzioni umane in realtà stai giocando a una sorta di roulette russa che ti toglie il velo della fiducia. Ti diranno: benvenuto tra gli scettici. Ok, ci sta. È che per non impazzire uno si fida degli ingegneri, di chi costruisce i ponti, di chi li controlla, fa la manutenzione. Ti fidi dell'idea che se passi su un ponte questo non crolla. Ti fidi dei doveri, ti fidi della coscienza di chi fa le cose. Altrimenti va al macero qualsiasi equilibrio psichico. Altrimenti non esci più di casa e neppure basta, perché chissà quale inganno, quale speculazione, quale cinico disinteresse c'è sotto. Cosa accade però se salta questo patto di fiducia con il mondo? Non resta più nulla. Non ci può essere chiaramente uno Stato, una comunità, una democrazia, una speranza. Non può esserci neppure un mercato e un'economia, perché alla base dello scambio, di chi compra e chi vende c'è un principio di fiducia.
L'orizzonte in cui viviamo è già saturo di paure, disillusioni, rabbia e frustrazioni e se non ti puoi più fidare della terra su cui cammini non ti resta nulla. Tutti i giorni rivendichiamo i diritti, spesso li confondiamo con i desideri, ma da troppo tempo ci stiamo dimenticando dei doveri.E senza i doveri i diritti sono questo: si sta come d'autunno sugli alberi le foglie.
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