L'Unione fragile senza fiducia

C'è una terra sorda e stanca che sembra sospesa nel tempo. È un arcipelago di isole vulcaniche grande più o meno come un continente, un vecchio continente, che sembra rassegnato a una lenta decadenza

L'Unione fragile senza fiducia

C'è una terra sorda e stanca che sembra sospesa nel tempo. È un arcipelago di isole vulcaniche grande più o meno come un continente, un vecchio continente, che sembra rassegnato a una lenta decadenza. Un giorno dal mare cominciano ad arrivare cadaveri e la prima reazione è far finta di non vederli. Chi governa e chi vive nelle varie isole cerca in principio di nasconderli, poi cominciano a litigare tra di loro su chi deve seppellire quelle carcasse e a chi appartengono. Non riescono a mettersi d'accordo, perché ognuno ritiene che il problema sia dell'altro. Tutti si sentono sotto assedio. I cadaveri poi smettono di arrivare, perché sta accadendo qualcosa di ancora più inatteso. I morti non li porta il mare, ma spuntano a migliaia di migliaia dalla terra, in ogni angolo del continente, come un contagio, come un'epidemia. Non c'è risposta. Le varie isole continuano infatti a discutere su quello che bisogna fare, rinviando ogni decisione di settimana in settimana. Fino a quando non ci sarà più tempo.

Questo scenario ricorda L'arcipelago del cane (Ponte alle Grazie), romanzo di Philippe Claudel, scrittore e sceneggiatore francese che sa raccontare i fantasmi e le inquietudini dei nostri giorni. Quel gruppo di isole assomiglia parecchio all'Europa.

È aprile. È quasi Pasqua. Il virus ha fatto del Vecchio continente un deserto. Tutto è chiuso, tutto è fermo. L'orizzonte è una depressione economica di cui neppure riusciamo a immaginare le ferite e i confini. I ministri delle Finanze dei governi europei sono ancora una volta collegati in videoconferenza per decidere cosa fare. Tutti concordano che serve una risposta comune. Tutti si dicono consapevoli che senza un piano di salvataggio la Ue è morta. I soldi, sostengono, si trovano, ci sono. Bisogna solo trovare il modo di farli arrivare a chi lavora, chi produce, a chi non ha nulla e a chi ha perso quello che aveva. È qui, a questo punto, che tutto si blocca. Nessun accordo.

Ognuno pensa alla sua isola. L'Europa resta un'astrazione. Non è solo però una questione di opposti sovranismi, dove sovranisti sono anche quelli che da buoni filistei si battono tutti i giorni il petto nel nome della Ue. C'è qualcosa di ancora più profondo, un sentimento primordiale: non si fidano. È qui che tutte le buone intenzioni si perdono. C'è un gruppo di Paesi, capeggiati dalla Germania, che è pronto a sbloccare gli aiuti, ma non vuole garantire i debiti per gli altri. Non si fida. Non si fida particolarmente dell'Italia, perché ha un governo senza futuro, perché da anni e anni hanno chiesto agli italiani di rientrare dal suo mega debito pubblico e non solo non lo ha fatto, ma continua a spendere. Allora, dicono, noi ci mettiamo faccia e portafogli solo a determinate condizioni. La prima è che se non pagate i debiti ci pensiamo noi a trovare il modo di farveli pagare. Amministriamo noi tutto quello che avete.

L'Italia, con la Spagna, il Portogallo e un giorno sì e l'altro no pure con la Francia, risponde: col cavolo, voi così ci fate fare la fine della Grecia. Non ci fidiamo. A questo punto si cerca un compromesso. I primi dicono: utilizziamo strumenti meno impegnativi: diamo un po' di soldi alle imprese e facciamo muro contro la disoccupazione. Si tratta di fornire aiuto là dove serve. Gli altri rispondono: non basta, questa è una crisi biblica, noi vi rendete conto che così affondiamo tutti. Il ballo della sfiducia non trova soluzioni.

Ci vorrebbe qualcuno che rassicuri gli uni e gli altri, uno di quei personaggi in grado di spazzare via ogni diffidenza, perché autorevole, perché carismatico, perché al di sopra di ogni sospetto.

Oppure ci vorrebbero capi dell'isola capaci di andare e vedere oltre, visionari. Purtroppo tipi così non si comprano al mercato delle pulci.

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