L'uomo della Luna che snobba la pensione: "Rimango in orbita"

A 85 anni Tito Stagno continua a raccontare le avventure dello spazio in tv e nelle conferenze. E qualche mese fa al suo fianco c'era Buzz Aldrin, uno dei tre astronauti dell'Apollo 11

L'uomo della Luna che snobba la pensione: "Rimango in orbita"

Un uomo nello Spazio. Da quarantasei anni. Ma con i piedi per terra, rigorosamente per terra, e tante idee per nuove missioni nel Futuro. Alzate gli occhi al cielo, cercate la Luna, e troverete quell'uomo. Tito Stagno, 85 anni brillantemente compiuti il 4 gennaio scorso con una frase celebre che gli fa compagnia dalla sera del 20 luglio 1969: «Ha toccato! Ha toccato il suolo lunare. Signori sono le 22.17 in Italia e, per la prima volta, un veicolo pilotato dall'uomo ha toccato un altro corpo celeste».

Bello parlare con l'uomo della Luna. L'impresa più difficile è fermarlo. Infilare una domanda, almeno di tanto in tanto, nella telecronaca della sua vita che lui ci regala, senza prendere fiato, in 56 minuti e sedici secondi. Lui ci scherza su questa sua propensione: «Guarda che se mi metti il gettone io vado avanti e metto in fila una parola dopo l'altra. Mi chiedi che cosa ho fatto da quando sono andato in pensione? Be', sappi che non sono andato in pensione, sono rimasto in orbita. Collaboro con alcuni giornali, tengo conferenze rigorosamente di argomento spaziale, saltellando, da Bari a Prato a Reggio Emilia e sono spesso ospite di trasmissioni tv. Poco tempo fa, ho commentato per i colleghi di Sky TG24, ancora una volta in diretta, minuto per minuto, il lancio della missione spaziale Sojuz Tma-20 dal Cosmodromo di Bajkonur in Russia con a bordo l'astronauta italiano, il mio amico, Paolo Nespoli. Ad una tavola rotonda recentissima in Abruzzo, al mio fianco c'era il mio grande amico Buzz Aldrin, uno dei tre astronauti dell'Apollo 11. Siamo sempre rimasti in contatto con Aldrin e gli altri. Abbiamo tutti la stessa età: io e tutti e tre gli astronauti dell'Apollo 11 siamo nati nel 1930».

Ma un giornalista «spaziale» non nasce così, deve pur esserci stata una rampa di lancio anche per Tito Stagno: «Sai come è scattata la scintilla fra me e lo Spazio? Stavo al giornale radio in via del Babuino. Era il 1957 e una sera, mentre uscivo dalla sede Rai, sento le telescriventi che squillano e leggo che l'Unione Sovietica aveva messo in orbita il primo satellite spaziale. Un segno del destino che mi cominciò ad intrigare. Preparai subito io la notizia per il Giornale Radio e aggiunsi una decina di righe di commento, così poco tempo dopo, quando fu lanciato nello Spazio Yuri Gagarin, alla Rai chiamarono me perché si era sparsa la voce che Tito Stagno era diventato l'esperto dello Spazio e così quando arrivarono le immagini attraverso l'Intervisione, che era un po' il patto di Varsavia della tv, immagini in bianco e nero e per la verità piuttosto bruttine, io improvvisai una telecronaca dopo aver però già studiato e approfondito l'argomento su alcune riviste tecniche. E così cominciai a farmi una cultura specifica».

Oltre alla Luna c'è di più però in quel Tito Stagno lanciato dalla Rai anche come fior di telecronista di viaggi di Papi e di presidenti della Repubblica, di terremoti e di alluvioni. E poi di giornalista sportivo. «Già, considera che dopo la riforma della Rai io chiesi di andare allo sport perché io lo sport l'ho fatto seriamente: sono stato da ragazzo un ottimo atleta nella ginnastica artistica con un maestro olimpionico, poi ho fatto pallanuoto, pallavolo e così ho preso seriamente anche il mio incarico allo sport perché io ho avuto sempre come azionista di riferimento non un partito, ma chi pagava il canone. Per questo la gente mi ricorda e mi ferma ancora per la strada. Perché parlavo dalla tv guardando loro in faccia, e lo facevo con semplicità e chiarezza senza mai usare parole incomprensibili. Vedi, leggere le notizie del telegiornale deve essere come leggere un pagina di un romanzo o un saggio: non devi annoiare ma non devi nemmeno trasmettere ansia parlando a macchinetta. Anche perché altrimenti piombi nello stress e io ne so qualcosa visto che dopo le massacranti trasferte al seguito di Saragat, quando rientrai in Italia, per riprendermi dovetti sottopormi alla cura del sonno per quindici giorni in una clinica. Ma a quei tempi il nostro lavoro era un'altra cosa: ti dovevi muovere con cinquanta-sessanta persone al seguito, montatori ed elettricisti compresi. E dovevi organizzare il lavoro di tutti».

Un uomo nello Spazio, nel suo spazio. Che ti racconta la sua vita e ci mette sopra il sigillo della sintesi: «Una vita che è stata un insieme di lampi e sorprese. Come quando, a dodici anni, all'uscita da un cinema di Pola, fui scritturato per partecipare al film «Marinai senza stelle» di Francesco de Robertis o ancora quando ancora studente liceale mi vennero a prelevare a casa mentre stavo preparando l'esame di fisiologia per farmi fare un provino come lettore del notiziario a Radio Cagliari. Poi il resto è storia nota. Nel 1954 vinco il primo concorso nazionale per telecronisti e partecipo a un corso di specializzazione con Furio Colombo, Gianni Vattimo, Umberto Eco. Lascio l'università e comincio il nuovo lavoro. Nel 1955 entro a Roma nella redazione del primo telegiornale diretto da Vittorio Veltroni».

Dopodiché altri lampi e altre sorprese come l'idea, condivisa con altri colleghi e amici tecnici, di organizzare un piccolo studio televisivo privato in via Fani per dare lezioni. «Sì, abbiamo cominciato nel 1972 e siamo andati avanti per quattro anni. Insegnavo alla gente di un certo tipo a parlare. E ho avuto come allievi grandi industriali.

Imprenditori come Pesenti, i dirigenti della Montedison, quelli della Max Meyer. A questi signori insegnavamo i segreti della dialettica e del dibattito in pubblico, ad usare le parole giuste al momento giusto. A guardare, durante un dibattito o una tavola rotonda chi ti fa la domanda ma anche ad essere pronti, nel momento in cui si aveva bisogno della solidarietà e del consenso della gente a casa, a guardare dritto nella telecamera. Facevamo poi rivedere a quei dirigenti i filmati delle loro prestazioni ed assieme a loro li commentavamo e pensavamo a correggerli».
Congedarci da Tito Stagno senza chiedergli se ha toccato per primo la Luna lui o Ruggero Orlando? Non sia mai. «È vero, ho pronunciato “ha toccato, ha toccato!” con venti-trenta secondi di anticipo ma solo perché l'Eagle toccò effettivamente il suolo lunare, con quelle specie di antenne di cui era dotato, per saggiare non tanto la consistenza di quel terreno ma la sua pendenza perché una pendenza eccessiva avrebbe reso problematico l'allunaggio ma ancora più la ripartenza del ragno dal suolo lunare. È stata la telecronaca più facile del mondo perché tutto è andato come previsto ma proprio mentre la navicella scendeva alla velocità di cinque metri al secondo verso il Mare della Tranquillità della Luna, ecco che mi comunicano che per dodici minuti non avremmo avuto più immagini perché gli astronauti sarebbero stati troppo impegnati nelle operazioni di allunaggio per mandare immagini».
«C'è voluto coraggio e incoscienza per riempire quei dodici minuti di buio, ma il telecronista non deve aver paura. Deve avere un bagaglio di informazioni e di capacità che gli permettano di coprire una telecronaca diretta come se quella telecronaca dovesse durare due anni. E così, ascoltando le scarne comunicazioni in codice che Armstrong dava alla base di Houston io cominciai a raccontare allo spettatore a casa, che non vedeva nulla, ciò che non vedevo nemmeno io ma potevo solo immaginare dato che mi ero preparato e documentato adeguatamente su quell'avventura spaziale.

E io credo, anzi sono convinto, che il racconto di quei dodici minuti al buio sia piaciuto alla gente molto più che lo stesso allunaggio. Perché l'immaginazione spesso vale più della realtà». Fidatevi delle voci che arrivano dallo Spazio.

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