Inutile fare previsioni su quando, come e se questo governo cadrà. Ormai ogni giorno pare essere quello buono, ma di fatto nulla accade. «Al lupo! Al lupo!», urlava ogni notte il pastorello della favola di Esopo per fare uno scherzo agli abitanti del villaggio, che essendosi abituati al falso allarme non credettero a quello vero e il lupo poté quindi fare indisturbato la sua strage. Salvini, Di Maio e Conte sono, a giorni alterni, come il pastorello burlone e bugiardo e noi cittadini gli abitanti del villaggio sue vittime. Ci abbiamo fatto il callo alle minacce, agli ultimatum e ai dispetti che quotidianamente i tre si scambiano e che ogni volta prefigurano la fine dell'alleanza tra Lega e Cinque Stelle. Non ci crediamo più, e non crediamo neppure che siano in grado di fare una delle cose - dalla flat tax all'autonomia - che quotidianamente ci propinano come fatte o in dirittura d'arrivo.
Devo ammettere che all'inizio dell'avventura il braccio di ferro tra Salvini e Di Maio, con Conte arbitro, aveva aspetti di novità interessanti e pure un certo fascino per chi si appassiona alle vicende politiche. Ora no. È soltanto uno stupido, infantile e inutile gioco fine a se stesso fra tre prime donne.
Stando così le cose, c'è solo da aspettare, e sperare, che il lupo arrivi presto. Se avrà la faccia feroce di un magistrato o quella furba di uno dei protagonisti che alla fine frega il socio, ancora non lo sappiamo. Ma abbiamo la certezza che qualsiasi alternativa a questo spettacolo - compreso il ritorno alle urne - non potrà che essere migliore del deprimente presente.
Come ha scritto pochi giorni fa su queste pagina Davide Giacalone, anche questo nuovo e inedito ciclo politico non riesce a sfuggire alla maledizione che da sempre affligge questo Paese, cioè la capacità di mettere in mostra con un certo orgoglio e con tanta spavalderia il peggio di se stesso ed emarginare con noncuranza il meglio, che pure non mancherebbe.
Il mestiere ci costringe a
seguire ed amplificare questo stupido teatrino come se si trattasse di cosa seria. Lo facciamo con sempre meno entusiasmo e sempre più spesso siamo tentati di passare oltre. Cioè parlare di cose nostre e non di beghe loro.
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