"Non può essere lui il mostro". A quasi 30 anni dalla morte di Lidia Macchi, Maria Botti, 74anni e madre di Stefano Binda, non si capacita di come possa essere proprio il figlio l'omicida della giovane, violentata e uccisa il 5 gennaio del 1987.
"Questo è un incubo, il mondo ci è crollato addosso, mio figlio non può essere quel mostro", ha detto la donna sfogandosi solo con i parenti più stretti. Incredula anche la sorella di Stefano, Patrizia, È una tegola che ci ha colpito in pieno...". "La mamma e la sorella sono disperate e sono pochi quelli che sono riusciti a vederle in questi giorni", ha raccontato una lontana parente, Giselda, "Io non ho ancora trovato il coraggio di telefonarle, ma so che mia figlia si è sentita con la sorella, sono cresciute insieme e hanno la stessa età".
La stessa incredulità serpeggia anche nella famiglia Macchi. "Stefano venne insieme a don Giuseppe Sotgiu", ricorda ora in un colloquio col Corriere della Sera, Paola Bettoni, madre di Lidia, "Erano legatissimi, i due, e in particolare il sacerdote era in ottimi rapporti con mia figlia. Binda rimase per cena. Gli preparai una torta di mele. Com’era? Quel ragazzo era gentile ed educato, ecco com’era. Era addolorato e disperato per quanto appena successo". Anche lei stenta a credere che sia stato davvero lui a uccidere la figlia: "Non so se quest’uomo è il responsabile o l’unico responsabile. Credo, ma potrei sbagliarmi, che le indagini non siano terminate. Questo non toglie il mio ringraziamento alla dottoressa Manfredda, tenace e ostinata; e ugualmente ho la convinzione che la mia Lidia mi abbia aiutato, in tutti questi anni, a trovare dopo un’infinita attesa le persone giuste, investigatori e avvocati".
Resta il mistero della lettera scritta da Stefano e arrivata anni fa a casa Macchi: "Mio marito corse a portarla in Questura. È evidente che non venne presa in considerazione. Avrebbero potuto tentare già all’epoca perizie grafologiche". E a Qn aggiunge: "Ci sentivamo dire che stavano lavorando, ma non succedeva niente. Sono stati trent’anni sprecati.
Se avessero indagato subito su quella lettera, invece che tenerla nel cassetto, sarebbe stato tutto diverso". Poi aggiunge: "Anche se uno dei misteri maggiori riguarda il Dna: l’avrebbero potuto utilizzare al meglio, per compiere verifiche più approfondite".