La madre e la moglie divise dal fine vita

La madre e la moglie divise dal fine vita

Quanti tipi di amore possono esserci in una sola stanza di ospedale? E poi: esistono parole che si pronuncino allo stesso modo ma che abbiano significati opposti? E ancora: se possiamo immaginare domande diverse che abbiano la stessa risposta, è dato il caso di domande uguali con risposte differenti? Il caso di Vincent Lambert, il quarantaduenne francese che un incidente motociclistico ha reso da una decina di anni un vegetale, pone questi e altri interrogativi. Ci spinge a guardare dentro l'abisso, a lasciarvi cadere un sasso per sentire se tocca il fondo, e decidere poi senza che nessuna possa suggerire se quel lontano piccolo tonfo sia il suono dell'infinito o della sua assenza. Non tratteremo temi etici in questa piccola riflessione, ma temi umani, troppo umani. Perché l'etica in fondo presuppone il senso di qualcosa percepito come una giustizia, mentre l'umanità è premorale, richiede a volte che si scenda dal piedistallo delle norme e di una presunta verità. È istinto, è senso, è svolgersi degli eventi, è esperienza, è disperazione. È amore. I due amori di casa Lambert sono il rosso e il nero della lotteria della vita. O esce l'uno o esce l'altro. O semmai esce lo zero e perdono comunque tutti. Il primo amore è quello della moglie di Vincent, Rachel, che pensa che continuare a fare vivere in quel modo il povero marito, ad annaffiarne l'inutilità come fosse una pianta del corridoio dell'ospedale di Reims sia la madre di tutte le perfidie. Un accanimento umano prima che terapeutico. Con lei sono d'accordo il nipote di Vincent e i fratelli e le sorelle. E soprattutto i medici dell'ospedale della Champagne, che hanno deciso di sospendere l'idratazione e l'alimentazione di Vincent, condannandolo a quella morte che per qualcuno è una condanna e per qualcun altro una liberazione. Il secondo tipo di amore è quello dei genitori di Vincent, che stanno combattendo come leoni per fare in modo che al figlio sia consentito di restare quello che è, di abitare ancora quel limbo che non è propriamente vita ma nemmeno la sua negazione, che iscrive ancora Vincent al registro dei vivi. Per mamma Viviane e papà Pierre, fervidi cattolici in un Paese lucidamente laico, la vita di Vincent è un fiammifero che nessuno deve permettersi di spegnere, perché tra una fiammella e un incendio non c'è nessuna differenza; e pazienza se un alito smorza la prima e non il secondo. Nessuno si azzardi a soffiare. Non abbiamo risposte a questo dilemma, a questo strazio da camera. Ognuno faccia il tifo per chi vuole, se vuole, ben sapendo che non ci sarà un vincitore, qualcuno per cui esultare. Scriveva Lev Tolstoj nel celeberrimo incipit di Anna Karenina: «Tutte le famiglie felici si assomigliano fra loro, ogni famiglia infelice è infelice a suo modo».

Ebbene, all'interno delle famiglie infelici ognuno conosce la sua propria afflizione. La vera gioia sarebbe non ci fosse nessuna decisione da prendere, nessun Vincent da uccidere o da salvare. In quel caso tutti i cuori batterebbero con lo stesso ritmo. Ma così non è.

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