Coronavirus

La maggior parte degli infetti non ha trasmesso il virus. Ecco perché

Uno studio degli epidemiologi di Hong Kong rivela: il 70% dei positivi non ha trasmesso il virus. Cosa hanno fatto i "super diffusori"

La maggior parte degli infetti non ha trasmesso il virus. Ecco perché

La maggior parte dei contagi del nuovo Coronavirus in giro per il mondo potrebbe essere stata causata da un numero relativamente basso di persone, da una netta minoranza. È questo il risultato di un nuovo studio internazionale, in fase di pre-stampa, che arriva da un gruppo di epidemiologi ad Hong Kong, secondo i quali almeno il 70% degli infetti che ha contratto il virus non avrebbe "colpe" e non ha trasmesso la malattia a nessuno.

Come nasce la "super-diffusione"

In pratica, tutto nasce da eventi di "superspreading" (super-diffusione), come recita il titolo dello studio condotto nella Regione amministrativa cinese di Hong Kong. I ricercatori hanno scoperto che soltanto un 20% dei casi studiati lì fosse responsabile dell'80% di tutte le trasmissioni del Covid-19 e che il 70% dei positivi sono risultati innocui perché non sarebbero riusciti a trasmetterlo a nessun altro. Come è stato possibile, quindi? La motivazione principale risiede nelle situazioni dove si è creato un "super-contagio", quando una sola persona sarebbe stata in grado di infettare un numero sproporzionatamente elevato di chi stava intorno. Secono questa ricerca, sarebbe questo il modo principale in cui si è diffuso il Covid-19. Quali sono questi eventi? Soprattutto, gli incontri sociali al chiuso.

Lo studio ad Hong Kong. "Gli SSE (eventi di super-diffusione, ndr) sono generalmente definiti come focolai in cui un piccolo numero di casi infetta un gran numero di casi secondari ben al di sopra della media attesa", scrivono i ricercatori nella parte introduttiva dello studio pubblicato su Researchsquare. Per capirlo meglio, dobbiamo intanto considerare il famoso indice R0, cioè quante persone può potenzialmente infettare ognuno di noi. Per il Sars-Cov-2, si è visto che questo indice oscilla tra 2 e 3. "Ma questa cifra ha dei limiti: non trasmette la vasta gamma tra quanto alcune persone infette trasmettono il virus e quanto poco fanno gli altri", afferma il Prof. Benjamin J. Cowling, uno degli autori dello studio in fase di pre-stampa, che hanno analizzato 1.038 positivi al Covid nella città di Hong Kong tra il 23 gennaio ed il 28 aprile e che, utilizzando i dati di tracciabilità dei contatti, hanno identificato tutti i cluster (gruppi) locali di infezione. "Abbiamo scoperto che il superscovering ha contribuito in modo schiacciante alla trasmissione di Sars-Cov-2 nella città in generale", ha dichiarato Cowling al New York Times.

I numeri. Dei 349 casi locali identificati (i restanti 689 sono stati importati da altri territori), ben 196 riguardano soltanto sei eventi in cui si è diffuso il contagio. Una sola persona sembra averne contagiate 73 dopo aver frequentato diversi bar alla fine di marzo. Le altre situazioni in cui sono scoppiati i focolai riguardano matrimoni, cene, feste di lavoro e locali dotati di karaoke. "Nel nostro studio soltanto il 20% dei casi, tutti riguardanti incontri sociali, ha rappresentato un sorprendente 80% delle trasmissioni", continua Cowling. E non meno sorprendente è stato un altro risultato ottenuto da questo studio: il 70% delle persone infette non ha trasmesso il virus a nessuno. Gli studiosi credono che l'esempio di Hong Kong, seppur ristretto, possa tranquillamente essere esteso anche a larga scala . "Noi la pensiamo così", dicono, supportati anche da altri studi a sostegno di questa tesi.

Il caso in Corea del Sud. È lampante quanto accaduto a metà febbraio in Corea del Sud: una donna di 61 anni ha frequentato le funzioni religiose nella città di Daegu. Poco dopo, si è dimostrata positiva per il Coronavirus e con lei altre decine di persone. Il conteggio dei casi di nel Paese è rapidamente balzato da 29 (il 15 febbraio) ad oltre 2.900 due settimane dopo. Gruppi di infezioni da Covid-19 come questo sono spuntati quasi da un giorno all'altro dando origine a focolai che sono sfuggiti al controllo. Questi picchi, in numerosi casi, sono spesso ricondotti ad un singolo evento "super-spreader" come quello di Daegu, in cui una persona infetta un numero atipicamente elevato di persone.

Lo studio su The Lancet ed altri casi. Si dice che tre indizi facciano una prova, e tre indizi li abbiamo: uno studio pubblicato alla fine di aprile su una delle riviste scientifiche inglesi più famose del mondo, The Lancet, basato su dati provenienti da Shenzhen (nel sud della Cina) su casi sospetti tra viaggiatori provenienti da Wuhan, ha concluso che l'80% delle trasmissioni era causato dall'8-9% dei casi. Un altro documento (che sarà pubblicato ad agosto) di fine aprile ha scoperto che 94 dei 216 dipendenti all'11° piano di un affollato call center in Corea del Sud sono stati probabilmente infettati da una singola persona tra fine di febbraio e l'inizio di marzo. Ancora in fase di revisione e prestampa su Merxviv, un altro studio di 212 casi Covid-19 in Israele tra la fine di febbraio e la fine di aprile ha fatto risalire l'80% delle trasmissioni a solo l'1-10% dei casi.

La matematica. Secondo la modellistica matematica di Akira Endo, biochimico giapponse della London School of Hygiene and Tropical Medicine, circa il 10‰ dei casi Sars-Cov-2 potrebbe rappresentare l'80% delle trasmissioni in tutto il mondo. Per farlo, si è servito di un modello matematico che ha rilevato un elevato grado di variazione a livello individuale nella trasmissione di Covid-19 ed ha dato lo stesso risultato: l'espansione della pandemia è dovuta ad un numero relativamente basso di persone.

Betacoronavirus
Immagine computerizzata di un Betacoronavirus

Poche persone, molti contagi: perché?

"Gli eventi di super-contagio stanno accadendo più di quanto ci aspettassimo, più di quanto si potrebbe spiegare con il caso. La frequenza di super-contagio è al di là di ciò che avremmo potuto immaginare", ha dichiarato l'epidemiologo Crowling a Businessinsider. Sotto la lente di ingrandimento, quindi, ci sono eventi che, in tutto il mondo, hanno creato focolai di infezioni da Covid-19 che si sono manifestati anche da un giorno all'altro. "Le esposizioni sociali hanno prodotto un numero maggiore di casi secondari rispetto alle esposizioni familiari o lavorative“, hanno scritto gli autori dello studio, aggiungendo che la riduzione degli eventi di super-contagio può avere un effetto considerevole nel ridurre l’R0 del virus. Questi eventi hanno in comune alcune caratteristiche chiave: hanno riguardato incontri al chiuso in cui molte persone di famiglie diverse sono state a stretto contatto. Ciò non indica necessariamente che una persona sia più contagiosa di altre o che stia diffondendo più particelle virali. Semplicemente, hanno accesso ad un numero maggiore di persone negli spazi che facilitano l'infezione.

Cos'è il "super-spreading". L'Organizzazione Mondiale della Sanità afferma che non utlizzerà "super-diffusione" come termine tecnico aggiungendo, però, che "ci possono essere incidenti di trasmissione in cui un gran numero di persone può essere infettato da una fonte comune", si legge sull'agenzia britannica Reuters. Il termine "super-spargitore" indica una determinata persona che può essere più in grado di trasmettere malattie rispetto ad altri, ma gli esperti virilogi affermano che non ci sono prove per dimostrare che sia effettivamente così.

Chi è un "super-spreader". Quindi, il super-diffusore è una persona o un evento? Sono entrambi. La diffusione di un virus come il nuovo Coronavirus dipende da una serie di fattori ambientali ed epidemiologici che, alla fine, portano alla trasmissione in singoli casi o cluster (gruppi). Questi includono il paziente ed in quale fase della malattia si trovano, il loro comportamento, il loro ambiente e la quantità di tempo trascorso in quell'ambiente. "Non siamo tutti uguali", ha detto Christl Donnelly, professore di epidemiologia statistica all'Imperial College di Londra. “Variamo nel nostro sistema immunitario, nel nostro comportamento e nel luogo in cui ci troviamo. Tutte queste cose possono influenzare il numero di persone a cui vorremmo trasmettere. Pertanto, possono contribuire i fattori biologici e comportamentali, ma anche il tempo e il luogo", ha affermato.

Il modello Giappone: ecco la regola delle "3C"

Il Giappone è geograficamente vicinissimo alla Cina, eppure non ha avuto la stessa intensità della pandemia di altri Paesi ed è uno dei pochi posti al mondo in cui si sta, seppur lentamente, ritornando ad uno stile di vita pre-Covid. Come hanno fatto? Il governo ha consigliato alla gente di stare alla larga dalle 3C: closed spaces (spazi chiusi), crowded places (luoghi affollati) e close-contact settings (contesti di contatto ravvicinato), tutti luoghi ideali per eventi di superspreading. "Solo guardando i numeri delle morti, puoi dire che il Giappone ha avuto successo", ha detto a Bloomberg Mikihito Tanaka, un professore dell'Università di Waseda la scorsa settimana. "Ma anche gli esperti non ne conoscono il motivo", si legge su Businessinsider.

Forse hanno agito prima, forse hanno funzionato meglio le misure di lockdown, molti esperti affermano che non è chiaro perché il Giappone non sia stato devastato dal virus e che, probabilmente, non lo sapremo fino alla fine della pandemia.

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