Forse l'immagine più originale per spiegare il governo-calabrone, che in barba a tutte le leggi della fisica e dell'aerodinamica invece di precipitare riesce a volare, l'ha offerta il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Federico D'Incà: «Siamo una maggioranza biodegradabile, abbiamo gli enzimi per sciogliere tutti i nodi. Dureremo fino al 2023». D'Incà, ovviamente, esagera nell'ottimismo: più che risolvere i problemi, infatti, i giallorossi li rinviano, li accantonano o, peggio, li ignorano. Succede un po' su tutto: la mozione sul Mes, condizionata dalla difficoltà dei grillini a pronunciare dei «no» veri dopo aver detto dei «sì» nelle trattative a Bruxelles, alla fine si è ridotta ad acqua fresca; le micro-tasse contenute nella legge di bilancio non sono state cancellate, ma, per ora, sono solo slittate a luglio; e, al di là delle rassicurazioni, le intese sulla giustizia perseverano nella logica del baratto, tipo l'entrata in vigore della legge che abolisce la prescrizione in cambio di quella che regolamenta le intercettazioni. Più che la logica dell'accordo sui problemi, prevale quella politica che induce tutti i partiti della maggioranza a scartare ogni rischio che possa portare ad elezioni. «Questi non schiodano ammette rassegnato l'ex viceministro allo Sviluppo del governo gialloverde, il leghista Dario Galli - vanno avanti sempre con la stessa liturgia: litigano fino a quando il Pd o gli altri dicono ai grillini O così, o si vota. E ricevono sempre la stessa risposta: Dateci la possibilità di incazzarci, ma per carità niente elezioni!». Ormai è un automatismo, un meccanismo oliato. Tant'è che al capo delegazione dei ministri del Pd, Dario Franceschini, puoi porre tutti i «se» del mondo sul futuro del governo (se c'è uno scontro sulla giustizia..., se c'è il referendum sulla riduzione dei parlamentari..., se la sinistra perde in Emilia-Romagna...) ma riceverai sempre la stessa identica risposta: «Al voto non si va. Non conviene a nessuno nella maggioranza, specie ora che la curva del consenso di Salvini comincia a scendere. Noi abbiamo bisogno di tempo».
Appunto, il governo è «biodegradabile», «liquido». È come se non ci fosse, come se avesse le sembianze di un ectoplasma, ma dura. Perché proprio la durata, condita dalla speranza che la stella salviniana si logori, rappresenta il cuore dell'intesa della maggioranza. Il «per far cosa», invece, è superfluo. Tutto si perde in una versione estremamente generica e banale del lessico e dei rituali di un tempo: verifica, agenda, programma. All'appello manca solo la famigerata «cabina di regia». C'è un solo comandamento: durare. «Si sono inchiavardati qui dentro osserva Giancarlo Giorgetti, testa d'uovo della Lega e non ci sono le condizioni per farli uscir fuori. È tutto imballato, ma intanto il Paese affonda. Debbono pure stare attenti a fare una legge elettorale proporzionale, perché le sardine potrebbero prendere più voti del Pd anche se la sardine come specie di pesce, non fosse altro per le dimensioni, non hanno un grande quoziente intellettuale». Le congetture del numero due della Lega, però, dimostrano soprattutto che all'opposizione resta solo il gioco di rimessa, che anche nel Carroccio sono pochi a pensare che il governo si schianti presto. Per cui meglio studiar piani sulle battaglie collaterali. «Certo che loro proveranno ad introdurre il proporzionale osserva Giorgetti ma ci sono dei voti segreti e non è detto che ci riescano. Noi ci staremmo pure a fare un accordone sulla legge elettorale, per andare poi subito al voto ed evitare che il Paese vada a ramengo. Ma ci vorrebbe l'accordo di tutti, un accordo che non c'è».
Tanto più che la logica del «durare» dalle parti della maggioranza è suffragata da qualche segnale. Quelli a cui fa riferimento Franceschini. Ad esempio, secondo la maga Alessandra Ghisleri da venti giorni la Lega ha cominciato a scendere con una certa costanza nelle previsioni di voto: è passata, perdendo mezzo punto a settimana, dal 33,5% al 31,5%. Ma il problema principale per Salvini, secondo la Ghisleri, riguarda il futuro: l'interesse degli italiani per l'immigrazione, cavallo di battaglia del Carroccio, sta scemando; nel contempo, Salvini che non è riuscito a dare un segnale vero nella sua esperienza di governo sulla flat tax, non riesce ad individuare un argomento che catalizzi l'interesse dell'opinione pubblica (il tentativo di individuarlo sulla riforma del Mes si è dimostrato velleitario, visto che per la maggioranza degli italiani scambia il Mes per un giocatore di calcio).
Sono segnali che spingono la maggioranza a tenere duro; danno margini sia pure ridotti al premier Conte («ha la funzione osserva il sottosegretario grillino al Mef, Alessio Villarosa - di una valvola di sfogo per le tensioni»); ed infine, rintuzzano le mire dei grillini tentati dall'accordo con Salvini. «La pressione è scemata confida Gianfranco Di Sarno, che pure è amico di vecchia data di Di Maio e semmai Luigi avesse immaginato crisi di governo o elezioni, chi se ne importa, lo avrebbe fatto da solo».
Inoltre, dato da non trascurare, l'ipotesi di un ritorno al proporzionale (questa sera è prevista un'altra riunione della maggioranza sull'argomento) ha già cominciato a disarticolare l'attuale scenario politico. Anche qui secondo uno schema che punta a salvaguardare la legislatura. «Nel fine settimana annuncia Paolo Romani, uno degli insofferenti tra gli azzurri formeremo un nuovo gruppo al Senato di una decina di senatori provenienti da Forza Italia. Inoltre sono pronto a scommettere che non ci saranno le firme per promuovere un referendum sulla legge che riduce i parlamentari. Se ci fossero le ritireremmo al momento opportuno, per evitare che il referendum non faccia venire la voglia a qualcuno di andare subito al voto per eleggere un Parlamento che abbia il numero di deputati e senatori di oggi. Insomma, sono due mosse che mirano a stabilizzare la legislatura. Inoltre puntiamo ad una legge elettorale proporzionale per lanciare un nuovo soggetto liberale sulla scia della storia di Forza Italia». Anche lo scontro che c'è stato sul candidato del centrodestra per la Regione Calabria avrà delle conseguenze sui numeri dell'opposizione. Il veto di Salvini su entrambi i fratelli Occhiuto - Mario, sindaco di Cosenza, e Roberto, vicepresidente dei deputati di Forza Italia - probabilmente creerà una diaspora nel centrodestra: nelle elezioni regionali correrà una lista riferibile ai due fratelli che punta a raccogliere pezzi di Forza Italia e che avrà un simbolo platealmente polemico verso Salvini (un'espressione dialettale alquanto colorita). E se la scissione sarà consumata, Roberto Occhiuto lascerà il gruppo di Forza Italia alla Camera per aderire al misto.
Inoltre nelle prossime 48 ore ci sarà anche l'addio dell'ex coordinatore del Veneto, Davide Bendinelli, che aderirà ad Italia Viva. Insomma, almeno per i numeri in Parlamento (il Paese è tutt'altra cosa), sembra tornato di moda il vecchio motto andreottiano: il potere logora chi non ce l'ha.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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