Se il voto di domenica pare in qualche modo aver archiviato la Seconda Repubblica, a due giorni dalla chiusura delle urne sembra piuttosto impervia la strada che dovrebbe traghettare il Paese verso la Terza. Lo scenario che si va profilando, infatti, è sempre meno lineare, difficile da districare più di un cubo di Rubik. Soprattutto ora che Luigi Di Maio - insieme a Matteo Salvini uno dei due vincitori politici di questa tornata elettorale - rischia di finire condannato ad un isolamento forzato che potrebbe comprometterne le aspirazioni governative.
Da una parte, infatti, la scelta di Salvini +di blindare l'alleanza di centrodestra sembra chiudere all'ipotesi di un esecutivo M5s-Lega. Uno scenario, peraltro, che non raccoglie molto entusiasmo al Quirinale, preoccupato dal fatto che un governo sostenuto da due forze antisistema e dichiaratamente euroscettiche possa aprire un fronte con l'Ue e favorire la volatilità dei mercati. Peraltro, il leader della Lega ha preso le distanze in maniera netta dai Cinque stelle e da ogni possibilità di soluzioni spurie: «Io mantengo le promesse e l'impegno è governare con il centrodestra. Escludo esecutivi tecnici, di scopo, a tempo, istituzionali. Non partecipiamo a governi minestrone». Una presa di posizione seguita da un lungo faccia a faccia ad Arcore con Silvio Berlusconi, un modo per suggellare l'alleanza nonostante il deciso sorpasso della Lega su Forza Italia abbia evidentemente ed inevitabilmente cambiato gli equilibri all'interno della coalizione.
Se il centrodestra si compatta e di fatto sembra sfilarsi da qualsiasi tipo di confronto con il M5s, il Pd di Matteo Renzi imbocca una strada che rischia di portarlo di qui a pochi mesi all'estinzione. Nonostante una sconfitta più pesante di quella che incassò il Pds di Achille Occhetto nel lontano '94 (che rimase inchiodato al 20,3%), Renzi di fatto fa solo finta di dimettersi dalla segreteria. «Lascio la guida del Pd, ma solo dopo la formazione di un nuovo governo», dice l'ex premier, che vuole gestire in prima persona la trattativa per la nascita del prossimo esecutivo chiudendo la porta a qualunque dialogo con i Cinque stelle, come invece avrebbe voluto un pezzo corposo dei dem. Renzi è infatti deciso a portare il Pd «all'opposizione» perché, spiega, «non saremo il partito-stampella di un governo di forze antisistema». È per questo che vuole gestire da protagonista sia le consultazioni sul Colle che la nomina dei presidenti delle Camere. Il tutto indicando Matteo Orfini come unico reggente finché non si terrà, di qui a molti mesi, il congresso dem che attraverso le primarie dovrà indicare il suo successore. Di fatto, insomma, attraverso il fedelissimo Orfini, Renzi resta alla guida del Pd. Oltre a valutare molto seriamente la possibilità di farsi eleggere capogruppo del Pd al Senato, un ruolo che gli garantirebbe centralità anche dopo l'avvicendamento.
Tutti scenari che fanno letteralmente esplodere il Partito democratico, con una raffica di big che puntano il dito contro le «finte dimissioni». Una guerra senza quartiere se Renzi arriva ad attaccare a testa bassa sia Sergio Mattarella (se ci avesse permesso di andare al voto nel 2017 «sarebbe stato tutto diverso») sia Paolo Gentiloni (l'immagine «troppo tecnica e senza anima del governo» non ha aiutato il Pd). Uno scontro senza precedenti, che secondo molti rischia di essere l'anticamera dell'implosione dem. In molti dentro il Pd iniziano infatti a valutare la possibilità di archiviare sia il simbolo sia il nome del Partito democratico, ormai troppo legato alla stagione renziana, e ripartire con un soggetto nuovo. Uno scenario che ieri in Transatlantico evocava l'ex tesoriere dei Ds Ugo Sposetti. Comunque vada, di certo c'è che l'aut aut di Renzi e la guerra civile scoppiata al Nazareno mettono in secondo piano un eventuale confronto con il M5s in chiave consultazioni.
Di Maio e i Cinque stelle, dunque, rischiano di vedere «congelata» la loro vittoria. O comunque di non trovare alcuna forza politica che sia disponibile a sedersi al tavolo con loro in vista di un eventuale governo a trazione grillina che potrebbe quindi non riuscire ad avere i numeri.
Che la questione sia dirimente e il rischio concreto lo capisce subito Alessandro Di Battista, che sceglie di commentare a caldo la conferenza stampa di Renzi. Proprio lui, che sul fronte della comunicazione è stato impeccabile per tutta la campagna elettorale, per la prima volta si mostra tirato e teso.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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