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Le malattie cardio e cerebrovascolari più pericolose del Covid

Allarmanti sono i dati sulle malattie cardio e cerebrovascolari che rappresentano il 31% dei decessi complessivi nel nostro Paese. Situazione aggravata dall'impatto che ha avuto il Covid sulla prevenzione e la cura

Le malattie cardio e cerebrovascolari più pericolose del Covid

Ha suscitato molto scalpore la scomparsa per infarto del giovane attore Libero De Rienzo, che pone l’accento su quanto le malattie cardio e cerebrovascolari siano dei killer latenti che possono manifestarsi anche con conseguenze estreme senza nessun tipo di avvertimento. In questi ultimi due anni da quando cioè la pandemia da Covid ha fatto la sua comparsa, la maggior parte dell’attenzione sanitaria si è concentrata sulla battaglia del virus, che solo nel nostro Paese è stata la causa di oltre 130.000 decessi.

Se tutto questo desta ovviamente preoccupazione, ci sono però problematiche sanitarie altrettanto importanti da tenere sotto controllo. Parliamo appunto di tutte le malattie cardio e cerebrovascolari che dati alla mano, rappresentano il 31% dei decessi complessivi nel nostro Paese attestandosi come la prima causa di decesso e di ricoveri, e la seconda causa di Daly confermandosi anche tra le principali cause di invalidità. Vista in questa prospettiva, la cosa assume tutto un altro aspetto, anche rispetto all’impatto che ha avuto la Pandemia. Proprio questa,così come successo con altri tipi di patologie, ha acuito il problema laddove i controlli e le cure sono state in parte abbandonate, per paura di recarsi in ospedale ed entrare in contatto con il virus.

Meridiano Cardio

La piattaforma Meridiano Cardio di The European House Ambrosetti, ha portato all’attenzione questa problematica spesso sottovalutata, durante un incontro con l’Intergruppo parlamentare per le malattie cardio e cerebrovascolari, portando dati allarmanti. Durante l’emergenza Covid, si è triplicata la mortalità per infarto, passando dal 4,1% del 2019, al 17,3% del 2020. Durante la prima ondata pandemica il 60% in meno di pazienti è stato ricoverati per ictus, il 53% in meno per scompenso cardiaco, e il 29% in meno, per il malfunzionamento di pacemaker. Inoltre sono diminuiti del 72% gli interventi per la sostituzione della valvola aortica e si arriva all’80% in meno per la clip mitralica, con in molti casi la sospensione dell’attività ambulatoriale e di riabilitazione cardiologica.

Numeri che hanno acuito la patologia di migliaia di persone. cancellando letteralmente anni di lavoro nel nostro Paese, e che ora hanno bisogno di una risposta per recuperare il tempo perduto e portare in questo settore così delicato e ad alto rischio di mortalità, innovazione e prevenzione. La richiesta che arriva da più parti è quella di un Piano Nazionale cardio e cerebrovascolari tutt’ora assente: “Il piano deve partire dal contesto epidemiologico e dalle evidenze scientifiche degli ultimi anni -racconta il Presidente dell’Intergruppo Rossana Boldi - e deve fondarsi su due punti fondamentali: la prevenzione e l’innovazione tecnologica e terapeutica. Deve inoltre seguire le indicazioni emerse in questi mesi dalle esperienze dei cardiologi ospedalieri, e dalle associazioni dei pazienti”.

Le donne sono più a rischio

Altro punto importante è dovuto al gender. “Spesso l’infarto è considerato nell’immaginario comune un evento prevalentemente maschile, quando invece è una delle prime cause di mortalità nella donna, e soprattutto in età avanzata il numero dei decessi è molto importante", ci racconta Daniela Bianco responsabile Healtcare di "The European House - Ambrosetti". "Queste sono inoltre patologie legate all’età quindi è chiaro che in una società come la nostra dove l’invecchiamento è progressivo, continuerà ad aumentare. Per questo vanno attenzionate e fare una diagnosi precoce e tempestiva è fondamentale. Al contrario sono invece emersi ritardi nella diagnosi, e carenze nell’attività di follow up (monitoraggio, ndr). A tutto questo si aggiunge la poca consapevolezza da parte degli individui di presentare fattori di rischio”.

L’impatto economico

Oltre ai numeri e alle difficoltà nell’approcciare in maniera efficace a questa problematica sanitaria, da non sottovalutare anche l’impatto economiche che queste hanno: “Queste patologie - racconta sempre la dottoressa Bianco -secondo una stima fatta tempo fa, tra i costi diretti e indiretti hanno un impatto di 21 miliardi, tra cui 16 di costi diretti sanitari e 5 miliardi di costi indiretti sanitari. Ovviamente questi sono numeri da aggiornare e alla luce del Covid sono anche da ricalcolare, perché molti degli effetti del Covid sono anche di tipo cardiovascolare, come abbiamo visto sui pazienti che sono stati affetti dal virus".

La tecnologia in aiuto

L'innovazione è una delle soluzioni possibili, è quanto è emerso dall'incontro che si pone lo scopo di sensibilizzare anche la politica e portare la discussione, e le possibili soluzioni al Ministero e alle Regioni. “L’accesso all’innovazione è uno degli ostacoli da superare nel nostro Paese dovuto anche all’attenzione del costo di ogni singola tecnologia, piuttosto che al beneficio sull’intero percorso cura", ha spiegato Vito De Filippo della Commissione Affari Sociali. "Occorre quindi favorire un maggior accesso alle terapie e alle tecnologie più innovative, in grado di migliorare significativamente la qualità di vita del paziente e creare maggiore valore per il sistema. Questo perchè tecnologie o farmaci innovativi anche se costosi, possono comportare risparmi in altre voci di spesa.

Si tratta quindi di applicare i principi della value-based healthcare (l'assistenza sanitaria basata sul valore è un quadro per la ristrutturazione dei sistemi sanitari con l'obiettivo generale del valore per i pazienti, con valore definito come risultati sanitari per unità di costi, ndr) anche ai processi di procurement (la selezione e la creazione di accordi contrattuali formali, nonché la gestione delle relazioni in corso con i fornitori dell'azienda, ndr)”.

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