Coronavirus

I dubbi sulle cure anti Covid "Manca una linea comune"

Il professor Bassetti ci spiega come, nelle cure anti-Covid, si dovrebbero seguire le linee guida internazionali che non tutti osservano. "Differenze di cure in base a seconda del Centro ospedaliero in sui si capita"

I dubbi sulle cure anti Covid "Manca una linea comune"

Siamo nel pieno della seconda ondata ed il Covid ci tiene compagnia, si fa per dire, ormai da quasi un anno. Ogni giorno c'è un bollettino di guerra con morti, contagi, indice di contagiosità e indice Rt. Settimanalmente, poi, si fa il punto della situazione e le Regioni cambiano colore come succede ad un semaforo. In qualche modo abbiamo imparato, purtroppo, a convivere con la pandemia ma c'è qualcosa su cui, ancora, non esiste una linea comune.

"Non c'è una linea comune"

Dopo un anno quasi 90 mila morti soltanto in Italia, come vengono curati i malati che si infettano con il virus? Ci sarà pure una linea comune, un protocollo di massima da utilizzare nei casi lievi, moderati o gravi. E invece no, un protocollo ufficiale pandemico sulle cure in Italia ancora non esiste. "Una linea non c'è perché non la si vuole avere", afferma in esclusiva per ilgiornale.it il Prof. Matteo Bassetti, Direttore della Clinica Di Malattie Infettive dell'Ospedale Policlinico San Martino di Genova, che abbiamo intervistato sull'argomento. In mancanza di un protocollo anti-Covid italiano, il professore ci spiega che esistono delle linee guida internazionali fatte dalla Società americana di Malattie Infettive che vengono usate ufficialmente anche nel nostro Paese. O almeno dovrebbero. "Nel mio reparto seguo queste linee guida che dicono esattamente cosa devi e cosa non devi fare. Poi, se si vuole avere una linea indipendente, ce ne si assume la responsabilità anche di tipo penale".

"Troppe differenze..."

In pratica, in mancanza di un rigido protocollo, ogni Centro Ospedaliero può regolarsi come meglio crede con il rischio di utilizzare cure che le linee guida internazionali non utilizzano più come nel caso di idrossiclorochina e plasma iperimmune che possono andar bene soltanto in determinate situazioni. "Mi pare abbastanza evidente che oggi, a livello italiano, c'è una differenza di cure a seconda del Centro in cui capita un paziente", afferma Bassetti, e la variabilità nel seguire diversi protocolli incide anche sulle differenze di morbilità, cioè il numero di casi della malattia, e di mortalità. "Nella mia clinica a Genova seguiamo le linee guida internazionali ed abbiamo un protocollo molto ben definito che seguono tutti i pazienti: si sa quando si deve o non si deve dare il cortisone, quando si deve o non si deve dare l'antibiotico e quando si deve o non si deve dare il remdesivir. Nella realtà le cure ci sono, bisogna saperle leggere e applicare ma bisognerebbe dire piuttosto se si vogliono o se si possono leggere ed applicare", sottolinea l'infettivologo.

Cosa dice la legge. In pratica, ospedale che vai cura che trovi. In mancanza di una linea guida nazionale c'è la legge Gelli, la numero 24 del 2017 in materia "di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie", che dice di rifarsi a quelle internazionali. Chi non le osserva ed opera come meglio crede "pensando che il proprio piccolo cosmo diventi un mondo, deve fare uno studio randomizzato e controllato e dimostrare su vasta scala che la sua cura è meglio di un'altra", sottolinea Bassetti. "Non c'è una linea comune ed è evidente che ci sia una differenza significativa tra un Centro e l'altro sia di mortalità che di sequele".

La proposta. "I dati sono ormai abbastanza evidenti e lapalissiani, credo che sia arrivato il momento di misurare con alcuni indicatori chi lavora bene e chi no", attacca l'infettivologo, che propone degli indici che possano confrontare le varie casisistiche tra un Centro ospedaliero ed un altro che prendano in esame la "lunghezza dell'ospedalizzazione, la mortalità, il ricorso alle intubazioni o la durata del tampone positivo. Sono tutti indicatori che prima o poi dovremo applicare per vedere se un ospedale o un reparto lavorano bene o meno bene. Si dovrebbero giù utilizzare per una medicina di qualità, prima o poi verranno recepiti anche a livello italiano".

"Al lavoro per un protocollo italiano"

La Società Italiana di Terapia Antinfettiva (SITA), di cui il Prof. Bassetti è il presidente e la Società Italiana di Pneumologia (SIP), stanno lavorando per le linee guida italiane per la cura del Covid. È un lavoro lungo e difficile perché bisogna revisionare tutti gli articoli scientifici pubblicati (che sono migliaia), fare una revisione sistematica e rispondere alle domande con una metolodogia molto complessa. "È un processo lungo, abbiamo iniziato circa tre mesi fa e dovremmo, spero nel breve, avere queste linee guida che poi dovremo inviare ad una rivista internazionale per la peer review. Quando saranno pubblicate, finalmente, avremo le linee guida italiane per la cura del Covid che diventeranno il riferimento", afferma l'infettivologo. Al momento, però, tocca "ascoltare" quello che dice la Comunità scientifica internazionale. Al Prof. Bassetti abbiamo chiesto, quindi, quali sono le cure principali e qual è, se c'è, un "flop", qualcosa che non ha rispettato le aspettative.

Come funzionano le cure

"Eparina e remdesivir? L'eparina è un farmaco accessorio usato per curare il rischio di embolia polmonare, non ha un'attività diretta sul virus ma per quelle che possono essere le complicazioni. Il remdesivir, invece, ha un'attività antivirale approvato da Aifa ed Ema per il trattamento delle forme precoci, cioè per quelli che arrivano in ospedale entro i primi 10 giorni dall'infezione. In quei casi lo stiamo già utilizzando", ci dice l'esperto. Invece, c'è una cura che finora ha deluso le aspettative, ed è il plasma iperimmune: nell'ultimo lavoro inglese chiamato 'Recovery' si dimostra che il plasma non migliora la mortalità. "È l'ennesima dimostrazione, ahinoi, che non ha quella forza sufficiente ad essere raccomandato nell'utilizzo su larga scala. Gli studi hanno sempre dimostrato che il plasma, nelle situazioni più gravi, non ha migliorato la sopravvivenza e non ha ridotto i giorni di ospedalizzazione". E poi, l'altro equivoco nasce dalla parole iperimmune: chi stabilisce quanti debbano essere gli anticorpi neutralizzanti che devono esserci nel plasma per definirlo così? Manca anche una definizione internazionale.

Si punta su monoclonali e nuovi farmaci

A breve, ci dice l'esperto, inizierà uno studio dell'Aifa sull'utilizzo degli anticorpi monoclonali che potrebbe essere una soluzione nelle fasi molto precoci della malattia, quasi a scopo preventivo, per far si che l'infezione non diventi più grave ed aiutare il nostro sistema immunitario ad evitare che il virus entri nelle cellule. "Dovremo vederlo su una sperimentazione che dovrebbe partire a breve. Negli Stati Uniti sembravano un grande portento, nella realtà mi risulta che vengono utilizzate soltanto il 25% delle dosi disponibili perché vanno usate per evitare di arrivare in ospedale, se c'è la polmonite è già tardi.

E poi, si punta su due nuovi farmaci antivirali sperimentali: il faripiravir ed il monlupiravir, che potrebbero avere un ruolo simile a quello del remdesivir. "Sono farmaci che hanno anche il vantaggio di essere disponibili in pastiglie: mentre il remdesivir è in flebo e può essere somministrato soltanto in ospedale, questi hanno il vantaggio di curare il paziente anche a casa". Nel nostro giornale, siamo stati tra i primi ad occuparci di un focus di approfondimento proprio sul monlupiravir (clicca qui per il pezzo), il cui esperimento sui furetti ha fatto ben sperare perché, la trasmissione del Covid tra questi animali è molto simile a quanto avviene sull'uomo anche per quanto riguarda la sintomatologia generale. "È un antivirale che, in passato, è stato sperimentato ed ideato per altri virus ad Rna come quello dell'influenza o come quello del Sars-Cov-1", ci aveva detto in esclusiva il Prof. Renato Bernardini, Professore ordinario di Farmacologia all'Università di Catania e membro del Consiglio Superiore di Sanità. La cosa positiva è che, pian piano, abbiamo sempre più frecce al nostro arco. E non smetteremo mai di ringraziare Medicina e Scienza.

Le morti causate del Covid

Ma non è tutto oro quello che luccica: la pandemia da Covid-19 ha provocato almeno 30mila morti in più nel 2020 rispetto all'anno precedente, in Italia, per altre patologie non curate e "dimenticate". "Perché nel 2020 abbiamo avuto così tanti morti in più rispetto al 2019? Il Covid ha fatto la sua parte ma quei 30mila morti li paghiamo per colpa del virus: tra marzo e maggio ci siamo dimenticati di tutto il resto, degli infarti, ictus, tumori, diabete ecc. Il mondo non è fatto soltanto di Covid, ci sono anche tutte le altre malattie che nel 2020 hanno avuto meno attenzioni di quelle che avrebbero dovuto avere.

La gente ha fatto meno prevenzione per paura del virus ed è questo l'effetto di esserci dedicati così tanto a questo virus e meno alle altre malattie", conclude Bassetti.

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