Il problema non è politico ma scientifico, dice Luigi Di Maio sulla Tav facendo riferimento alla famigerata analisi costi-benefici messa a punto da un architetto, Marco Ponti, amico dei Cinquestelle.
Strano tipo questo Ponti, la cui società ha realizzato non uno ma tre studi sulla Tav. Il primo, su commissione del ministro Toninelli contrario all'opera, giunge alla conclusione che la Tav è solo uno spreco di soldi; il secondo, pagato dall'Europa favorevole al tracciato, sostiene che la Tav è uno straordinario volano di occupazione e sviluppo economico; il terzo, sponsorizzato dalla neutrale Svizzera, certifica quanto sarebbe bello e utile per quel Paese che i treni veloci passassero proprio lì invece che in Italia. Diciamo che il professore ha una straordinaria propensione ad assecondare i desideri del committente, ma ovviamente parliamo di pure coincidenze perché i misteri e le variabili della scienza sono infiniti.
Tanto basta, a mio avviso, per smascherare il bluff di Di Maio e soci. Anche perché la Tav non è la «Torino-Lione» come ci vuole fare credere la narrazione grillina per sminuirne l'importanza, ma una linea ferroviaria moderna e veloce che unisce l'Est e l'Ovest dell'Europa e di cui l'Italia a suo tempo si impegnò a fare il suo pezzettino. Sarebbe come sostenere che il tratto autostradale della A1 tra Lodi e Casalpusterlengo unisce due piccoli Comuni, quando invece è un piccolo tassello di una grande opera che permette di muoversi velocemente tra Milano e Napoli.
Ma tutto questo è inutile, è come parlare ai sordi, perché il problema è tutto e solo politico. Di Maio deve fare, anche andando contro l'interesse del Paese, qualcosa di grillino, pena soccombere dentro il Movimento e molto probabilmente nelle urne. Per questo forza la mano contro ogni logica e minaccia Salvini di terribili ritorsioni, a partire dal voto del Senato che deve confermare l'immunità sul caso Diciotti concessa al leader leghista dalla commissione preposta.
Ricattare il ministro dell'Interno non è cosa bella e Salvini deve scegliere se continuare ad avere dalla sua parte molti
degli italiani o piegare la testa davanti al primo architetto che, immaginiamo ben pagato, sostiene che lui (e tutti noi) è un imbroglione al servizio dei poteri forti. Peraltro, contraddicendo se stesso. A Matteo la scelta.
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