Coronavirus

Medici e infermieri: "In ospedale ci sono autostrade per il virus"

I racconti degli operatori sanitari in prima linea contro il virus: "A ruota ci ammaliamo noi". Gli ospedali come possibili vettori del virus: "Per questo, la protezione del personale sanitario deve essere una priorità"

Medici e infermieri: "In ospedale ci sono autostrade per il virus"

I cittadini sono chiusi in casa, per evitare il contagio, ma all'interno degli ospedali il nuovo coronavirus sembra diffondersi da un reparto all'altro. È quanto emerge dai racconti dei medici, sentiti in questi giorni di emergenza dal Corriere della Sera.

"I pazienti si 'positivizzano'", ha raccontato un infermiere di un reparto isolato, che non dovrebbe accogliere i malati di Covid-19, ma che, su 6 pazienti a cui è stato fatto il tampone, ne ha registrati 5 positivi. "A ruota ci ammaliamo noi - rivelano gli operatori sanitari - Vedo colleghi 'cadere' ogni giorno. Una è appena rimasta a casa con 40 di febbre, il marito anche, mi dice che sta salendo anche al figlio. Altri tre infermieri mi hanno appena chiamato, sono malati". Sono i racconti di chi è in prima linea della lotta contro la pandemia, che svelano il dramma della diffusione nel contagio nei luoghi in cui le persone vengono accolte per le cure.

Una situazione che si sarebbe sviluppata per due motivi: il primo sarebbe da rintracciare nell'impreparazione alla pandemia, che i medici hanno dovuto affrontare con poche protezioni e linee guida confuse, mentre il secondo potrebbe essere dovuto all'improvviso cambio di direzione, interventuto ad epidemia già in corso. A spiegarlo al Corriere, è un medico del Policlinico: "Quando è stato scoperto il primo caso "interno", sono stati subito fatti i tamponi ai suoi contatti e la diffusione è stata isolata, contenuta. Erano i primi giorni dopo Codogno. Poi si è deciso di cambiare del tutto politica. Niente più tamponi, medici e infermieri tutti al lavoro, pure se avevano un familiare 'positivo' in casa". In questo modo, "non si è sguarnito il personale degli ospedali, forse, ma si sono aperte autostrade al virus".

Diversi gli operatori sanitari positivi anche tra gli ospedali di Magenta e Milano. Lì, secondo quanto racconta un'infermiera, "è stata a lungo in vigore una direttiva quasi 'criminale'. Se un cittadino entrava in contatto con un positivo, si doveva isolare, ma se capitava a un medico o a un infermiere doveva andare al lavoro fino a eventuale comparsa di sintomi. Quanta infezione abbiamo portato in giro così tra pazienti, colleghi e famiglie? La carenza di mascherine e protezioni hanno fatto il resto".

A sostenere la diffusione del virus all'interno degli ospedali, sono anche i medici dell'ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, che hanno pubblicato un articolo sul New england journal of medicine: "Stiamo imparando che gli ospedali possono essere il maggior vettore per il Covid-19- dicono- perché sono stati rapidamente popolati di pazienti infetti, facilitando il contagio di pazienti non infetti. I lavoratori della sanità sono vettori asintomatici o malati senza sorveglianza". Per questo, "negli ospedali la protezione del personale sanitario dovrebbe essere la priorità".

E aumentano le pressioni di chi sostiene con forza la necessità di effettuare i tamponi anche al personale sanitario. La Regione Lombardia, due giorni fa, ha corretto le direttive, prevedendo il test per i lavoratori che si presentano a inizio turno con una temperatura di 37,5 o superiore.

"Al personale negli ospedali, a tutti- ha detto l'assessore lombardo al Welfare, Giulio Gallera-prendiamo temperatura e appena hanno 37,5 li mandiamo a fare i tamponi perché al nostro personale sanitario ci teniamo".

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