Mestatori, au revoir

I rapporti tra Italia e Francia assomigliano, si dice di solito, alle montagne russe.

Mestatori, au revoir

I rapporti tra Italia e Francia assomigliano, si dice di solito, alle montagne russe. Con una caratteristica: i picchi di totale sintonia e i minimi di inimicizia dichiarata si susseguono a brevissima distanza. Volendo divertirsi, si può partire sin dagli inizi: grazie all'accordo con Cavour, nel gennaio del 1859, Napoleone III diventa l'acclamato sponsor dell'unità della Penisola. Tempo sei mesi e nel luglio dello stesso anno sempre Napoleone sigla con Francesco Giuseppe l'armistizio che pone fine alla Seconda guerra d'indipendenza. La completa riunificazione viene rimandata a data da destinarsi e i francesi precipitano (almeno agli occhi italiani) nel girone dei traditori. Insomma, da 150 anni e più si litiga e si fa la pace, senza soluzione di continuità. L'ultimo idillio è del novembre del 2021, meno di 12 mesi fa, con il trattato del Quirinale, che in quel momento viene interpretato dai commentatori internazionali come l'inizio dell'Europa di «Dracron» (Draghi-Macron). Solo due anni prima, una delle crisi peggiori: un vice premier italiano, Luigi Di Maio, va in gita a Parigi per rendere omaggio ai gilet gialli che stanno destabilizzando l'Esagono. Parigi richiama l'ambasciatore a Roma.

In questa lunga storia si inserisce la baruffa di ieri, che pure è diversa dalle precedenti. Sul piano sostanziale, la Francia di Macron è oggi in cerca di una sponda in grado di equilibrare il tradizionale asse del Nord. L'Italia potrebbe giocare questo ruolo, ma si trova in una fase di transizione con due caratteri che segnano una discontinuità profonda con il passato.

Il primo è la postura più nettamente profilata in senso nazionale della leader in pectore e della sua maggioranza. Una specificità, quest'ultima, che fa parte del Dna stesso del centrodestra e con cui all'estero dovrebbero iniziare a fare i conti. Il secondo elemento è, invece, l'ostilità ai nuovi equilibri di una parte del mondo politico e di quello editoriale che, ai limiti del tentativo di delegittimazione, dissemina di trappole il cammino di formazione dell'esecutivo, facendo leva anche su qualche malaccorto interlocutore straniero. Si spiega così il passo falso dal ministro francese Laurence Boone, intervistata da Repubblica («vigileremo...»), ma anche la reazione concorde delle istituzioni italiane, dal presidente Mattarella al premier uscente Draghi. Quanto a Macron, cerca di metterci una pezza non senza risparmiare la freddezza («lavoreremo con chi sarà nominato, ma non rinuncio ai miei principi»), mentre fonti del suo servizio diplomatico appaiono più generose: «Sappiamo che l'Italia non è l'Ungheria di Orbán, siamo due grandi democrazie».

Il futuro dirà se tra Italia e Francia dominerà il

sereno e se Parigi saprà interpretare la nuova realtà romana. Per il momento, la vicenda sembra dire qualcosa sui nostri interlocutori d'Oltralpe e molto su chi, da noi, non pare disposto ad accettare i risultati elettorali.

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