Cronache

"Mi vedevo sulla forca". L'incubo di Latorre durato 3.638 giorni

In India i due marò italiani rischiavano la pena di morte, considerati terroristi per un reato che non avevano commesso

Da sinistra, i marò Girone e Latorre
Da sinistra, i marò Girone e Latorre

La sentenza di archiviazione è arrivata a distanza di dieci anni. Dopo 3.638 giorni l’ex marò di Taranto Massimiliano Latorre è stato dichiarato innocente e la notizia è stata accolta con sollievo dal militare, che si era chiuso tra le quattro mura della sua casa dal suo ritorno in Italia. Latorre, insieme al collega Salvatore Girone, è stato prosciolto dall’accusa di omicidio di due pescatori indiani. Un incubo lunghissimo, cominciato nel 2012, finisce per i due marinai, ma gli strascichi morali e fisici provocati dall’attesa di essere prosciolti da una vicenda che non li vedeva assolutamente coinvolti rimangono intatti. Le paure non sono mai state superate, anzi, si sono amplificate con il passare del tempo. In India i marò italiani rischiavano la pena di morte, considerati terroristi per un fatto che non era loro imputabile.

Il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma ha messo un punto fermo sulla vicenda: non ci sarà alcun processo in Italia. I due marinai non hanno commesso alcun reato e la sentenza di archiviazione è stata automatica. “Non ci ho creduto subito – ha dichiarato Latore al quotidiano Il Messaggeroperché in questi anni tante volte sono arrivate notizie che poi sono state smentite. È stata dura, la mia vita in questi dieci anni è cambiata”. Non solo la ricerca di un nuovo lavoro, l’umiliazione della condizione di indagato di omicidio, ma anche l’ictus, che lo ha fatto soffrire fisicamente più del dovuto. Latorre adesso è un uomo libero e può vivere una vita normale insieme alla sua famiglia.

“Non mi aspettavo – ha commentato – che la magistratura italiana fosse così celere e per questo ringrazio i magistrati che hanno seguito il caso”. Il marò ha ripercorso con la mente quei giorni di grande angoscia vissuti in India. Con Girone, Latorre faceva da scorta alla petroliera Enrica Lexie, un’imbarcazione che trasportava combustibile. La nave venne attaccata da un battello e i due militari italiani intervennero per difenderla, come da protocollo. L’assalto fu sventato ma, dopo, cominciarono i guai per i due marò. Il giorno successivo la capitaneria di porto indiana trattenne Latorre e Girone, togliendo loro il passaporto e chiudendoli un una specie di carcere.

Dopo un po' di tempo i militari furono trasferiti in alcuni alberghi, con l’obbligo di firma ogni sera. Ciò è durato fino al ritorno in patria. “In quei momenti – ha rivelato Latorre – mi sono immaginato sulla forca, perché il loro accanimento mi faceva pensare che nei nostri confronti la condanna fosse già stata scritta”. Il malanno fisico ha fatto sì che il rimpatrio avvenisse prima del tempo, ma il prezzo da pagare è stato molto alto.

Latorre per lungo tempo non ha potuto parlare con il collega Girone; solo quando la Corte dell’Aja ha assegnato all’Italia la giurisdizione della vicenda i due si sono potuti riabbracciare.

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