Migranti, Bono applaude l'Italia: "Qualcuno in Europa si deve vergognare"

Ieri sera al Forum di Assago la prima della quattro date italiane. Con sorpresa in scalette a un palco kolossal

Migranti, Bono applaude l'Italia: "Qualcuno in Europa si deve vergognare"

Dopotutto ci sono due U2. Quelli che Bono porta nella polemica politica. E quelli che suonano rock come pochi altri. Per capirci, quando al Forum si sente la voce di Charlie Chaplin nel Grande dittatore e inizia lo show con The blackout, sul palco ci sono i secondi U2, compatti e frontali più del solito, capaci di un concerto con pochissime sbavature e, soprattutto, finalmente essenziale. Il Bono politico spunta qui e là, e almeno una volta è davvero sorprendente come quando, ben oltre la metà del concerto, ha detto: “In questo Paese sono stati dimostrati amore e tolleranza per i rifugiati che arrivano e per questo vi ringraziamo. Il resto dell’Europa ha deluso e qualcuno si dovrebbe vergognare». Per carità, non ha citato Salvini né il governo italiano né tantomeno Merkel o Macron. Ma rimane che la più impegnata delle rockstar, spesso molto critica verso le politiche italiane, abbia riconosciuto l’ospitalità italiana per i profughi mentre da anni molti (moltissimi) dicono il contrario.

In ogni caso i picchi emotivi del concerto sono stati musicali, mica altro (per fortuna). E il pubblico, in fila già al mattino sotto la pioggia per la prima di queste quattro date consecutive al Forum (le altre stasera, 15 e 16) ha risposto come si deve: un boato dietro l'altro e via andare. Show impeccabile, c'è da dirlo, potente e spettacolare. «In Italia tanti anni fa da ragazzi abbiamo scoperto chi siamo realmente: qui ci sono la Scala, l'opera, le grandi melodie. Ora siamo tornati ora da uomini per ritrovare un po' la nostra innocenza», dice Bono prima di iniziare Zoo Station. Questo giro di concerti europei si intitola «Experience + Innocence Tour» perché raccoglie molti brani dei loro due ultimi dischi (Songs of Innocence e Songs of experience, appunto) più quelli che non si possono proprio tralasciare come Sunday bloody sunday, che è sempre una festa, e quelli che era il caso di mettere in pausa: «Abbiamo appena fatto un tour per i trent'anni di The Joshua Tree e ora ci concentriamo su altri brani» ha detto più volte Bono che dal vivo è entrato nella fase della «rockstar consapevole»: poche acrobazie vocali, peraltro sempre più rischiose, e molta più precisione nelle interpretazioni. Ormai questi quattro dublinesi, che per tornare a suonare al Forum dopo 26 anni hanno scelto una giornata tipicamente irlandese, possono spalmare in scaletta i loro classici per tenere sempre alta la tensione. In fondo I will follow, che è il primo brano del loro primo disco Boy dell'80, accenderebbe anche il più distratto del pubblico (ieri sera potentissima) e quindi sta bene dopo le iniziali e nuove The blackout e Lights of home. E New Year's day, con quell'irresistibile gioco di basso tastiere e batteria (da War del 1983) arriva quasi a concludere il concerto prima dei bis (e si vede il logo della Ue sul megaschermo). In mezzo c'è un altro show. Intanto la scenografia ricorda quella del precedente tour ma rimane sontuosa e spettacolare, a conferma che gli U2 rimangono i più visionari nei propri allestimenti dal vivo. In pratica ci sono tre palchi, quello principale, che è asciutto e visibile a 360 gradi. Poi c'è una sorta di schermo-passerella trasversale, con led ad altissima definizione, che attraversa la platea del Forum fino al terzo palchetto, più piccolo, tondo e «acustico» dove Bono diventa il suo alter ego demoniaco «McPhisto» a partire da Elevation. E parla da diavolo: «Sono andato a Bruxelles capitale della Ue, dove tutti parlano lingue diverse. Mi manca l'epoca del fascismo e del comunismo, quell'epoca in cui si demonizzava l'avversario, oggi i demoni si nascondono ovunque». Ironia. Al Forum il pubblico è realmente calato dentro lo show e non è un dettaglio. Nell'epoca della musica solitaria, «consumata» di solito grazie agli smartphone e quindi in quella solitudine che di fatto nega l'idea di musica popolare, un concerto che letteralmente avvolge oltre 10mila spettatori è un raro esempio di grande rock effettivamente condiviso, vissuto, applaudito anche senza postare subito su Instagram. E un ritorno alle origini degli U2 c'è anche nella voglia di cambiare la scaletta concerto dopo concerto, aggiungere quella canzone e toglierne un'altra, proprio come si faceva prima che le esibizioni diventassero kolossal prefabbricati. Ad esempio, pochi giorni fa ad Amsterdam hanno suonato una Stay (Faraway, so close!) che da anni era fuori dalla scaletta e a Copenhagen è spuntata una Unforgettable fire che dal vivo non si sentiva dal Ferragosto 2010. Qui c'è l'intramontabile Gloria che c'era nello show di Amburgo ma non in quello di Madrid e via dicendo. Cambia in ogni nazione pure il testimonial che partecipa al videomessaggio per la campagna «La povertà è sessista»: con la colonna sonora di Women of world, la voce è quella di Emma e ci sta alla perfezione.

Insomma, l'impressione è che dopo anni trascorsi a briglia sciolta con ognuno della band che galoppava al proprio passo, ora gli U2 abbiano trovato un nuovo equilibrio. Bono è come sempre il socialmente più impegnato ma la sensazione è che al pubblico interessi più l'effetto che fanno i brani sia quelli relativamente recenti che soprattutto quelli storici come ormai sono Pride o la meravigliosa One che purtroppo viene sempre riarrangiata pur essendo un gioiello intoccabile.

E se The Edge ha ritrovato la centralità nel suono con la sua chitarra, la batteria di Larry Mullen Jr è aggressiva e puntuale mentre Adam Clayton con il proprio basso non si scompone mai e mantiene «dritta» ogni esecuzione nonostante Bono qualche volta divaghi. In pratica, quattro musicisti che offrono una sensazionale dimostrazione di potere rock, ben più convincente di qualsiasi proclama politico.

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